Caro Granzotto, vorrei un suo commento alla risposta data dal direttore Mario Calabresi al lettore della Stampa della mia Torino che stigmatizzava la raccolta di firme contro Saviano e le sue accuse ai lombardi. E del fatto che in un certo senso la paragona alla raccolta di firme contro suo padre, definito dai firmatari «commissario torturatore».
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Sa un cosa, caro Ratti? Tempo fa, in un commento sulle campagne dodio orchestrate dalla stampa libera, democratica e indipendente, scrissi che lasciava un po disorientati che a quel gioco sporco si dedicasse anche il giornale diretto da Mario Calabresi: «Egli - concludevo - dovrebbe saper bene quale ne sia la caratura etica e dove conducono le orchestrate campagne dodio che procedono per isterismi, per rabbiosi luoghi comuni, per falsi teatrali e carte truccate nel mazzo. Egli più dogni altro». Bé, prese cappello accusandomi desser stato meschino nel riferirmi a una sua personale vicenda eccetera eccetera. Vedo però che la sua personale vicenda gli torna utile quando si tratta dattaccare a testa bassa il Giornale e la sua redazione. Chissà, forse si tratta di sensibilità a corrente alternata. Scrive il direttore della Stampa che sebbene le due raccolte di firme - quella sottoscritta dagli 800 intellettuali che vedevano nel commissario Calabresi un torturatore responsabile della morte di Pinelli e quella che stanno sottoscrivendo i nostri lettori - abbiano «toni e obiettivi assolutamente non paragonabili», fa lo stesso. Perché sono legate dall«idea che si possa delegittimare qualcuno al punto da chiedere agli italiani di metterlo allindice». A parte il fatto che noi non vogliamo mettere allindice nessuno, ma semplicemente mandare a dire a Saviano, urlandoglielo in coro e in faccia, che il Nord non è mafioso e che sulle infiltrazioni mafiocamorristiche racconta delle balle, non mi par proprio che firmando il manifesto gli 800 esponenti della società civile, e sottolineo civile, intendessero mettere semplicemente allindice il commissario Calabresi. Gli esiti di quellappello dimostrerebbero comunque il contrario.
E insiste, il direttore della Stampa, nellassimilare le due raccolte che poco prima dava, per «toni e obiettivi assolutamente non paragonabili». Ricordandoci (ancora?) che Saviano è sotto scorta (come centinaia e centinaia di Vip della politica, della magistratura, delleconomia, della finanza e dello spettacolo: e nessuno se ne lamenta) Calabresi ammette, bontà sua, che «vivere in una condizione di pericolo non può essere considerato uno scudo contro le critiche, che sono il sale della democrazia, e in un Paese sano non esistono oracoli intoccabili». Però, aggiunge, «sollecitare la firma contro qualcuno - come gridava il titolo del quotidiano milanese - è un salto di qualità che rischia di accendere le peggiori pulsioni». E qui non siamo più all«indice», qui si lascia intendere chiaramente quali possano essere le «pulsioni» dei lettori del Giornale. Conclude infatti Calabresi: «Fortunatamente Roberto Saviano non è solo e isolato come successe a mio padre, ha tanti cittadini che lo sostengono e un bel gruppo di carabinieri che lo protegge».
Paolo Granzotto
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