C’è un saggio che raccomando a chi vuole capire le radici di questa grave crisi economica. È un libro di Milton e Rose Friedman. Il titolo è Libertà di scegliere e analizza la Grande Depressione del 1929. E smaschera i principali errori di politica economica in cui incorrono i governi. «Durante quel periodo, la depressione convinse l’opinione pubblica che il capitalismo era un sistema instabile destinato ad andare in crisi ogni volta in modo sempre più grave. Una prospettiva accettata sempre più da cittadini e intellettuali: lo Stato doveva quindi essere più presente, intervenire per compensare l’instabilità provocata dall’attività privata...».
Suona come se fosse stato scritto pochi giorni fa, no? Il fatto è che allora come oggi si vuole incolpare il mercato degli sbagli dello Stato. Allora come oggi hanno sbagliato coloro che maneggiavano la politica monetaria, come ha appena riconosciuto Alan Greenspan, presidente della Federal Reserve degli Stati Uniti per quasi 20 anni.
Allora lo Stato fallì nella suo compito principale: evitare il collasso del sistema bancario. In questa occasione fortunatamente, e in buona parte anche grazie agli insegnamenti di Friedman, la reazione dello Stato è stata diversa e si è riusciti a evitare un collasso sistematico. Allora come oggi molti funzionari di banche non hanno capito i rischi effettivi delle loro scelte.
Sappiamo che c’è stata abbondanza di ingegneria finanziaria. Quello che è mancato è il lavoro bancario tradizionale. C’è stato un indebitamento sproporzionato ed è mancata prudenza per gestire il rischio. Avidità in abbondanza e mancanza di rigore e trasparenza. Questi sbagli, per eccesso e per difetto, rischiamo di pagarli molto cari.
Di fronte a questa crisi stiamo assistendo a due tipi di reazione politica. Non pochi Paesi stanno rispondendo con un atteggiamento di chiusura, di maggior rigidezza nel mercato e probabilmente più protezionismo nei confronti dell’estero. Ci saranno invece Paesi che apprenderanno con intelligenza dagli errori commessi, e che sostituiranno pragmatismo al dogmatismo. Questi Paesi saranno quelli che con maggior probabilità riusciranno a realizzare riforme strutturali verso la liberalizzazione, la flessibilità e l’apertura commerciale. Saranno quelli che riusciranno a reagire davanti alla crisi con maggiori dosi di libertà economica.
Quelli che opteranno per la prima strada, quella dell’interventismo, tarderanno invece a risalire la china, ammesso che la rimonta sia possibile. Questo è lo scenario che ci troviamo davanti. E io penso che la lezione di Friedman sia ancora attuale.
La Spagna ha deviato da questa strada. Nel 1996 aveva un tasso di disoccupazione del 23 per cento. Grazie a una politica liberista in otto anni la riduce del 50 per cento. Qualcuno può pensare che sia stato casuale. Si sbaglia. La Spagna creava più posti di lavoro di Francia e Germania insieme. La crisi della new economy non la tocca. La Spagna continua a crescere del 3 per cento. Francia, Italia e Germania viaggiavano intorno allo zero. Era una Spagna forte. Ora non è più così. Nell’ultimo anno i disoccupati sono cresciuti di 800mila unità. È tutta colpa della crisi? Non credo. È cambiata la politica di governo e sono cambiati i risultati. In Germania ci sono 330mila disoccupati in meno e in Francia 200mila. La crisi economica colpisce tutti, ma la Spagna sta peggio degli altri. È la vincitrice del premio «disoccupazione» in Europa. Come ai vecchi tempi.
Io non credo alla casualità, piuttosto alla causalità. Credo che ci siano una buona e una cattiva politica. Sono uno di quelli che pensa sia necessario guardare al futuro e organizzare quello che si può fare. La Spagna può uscire dalla crisi, ma i cittadini devono sapere che alla crisi siamo arrivati applicando certi manuali di economia. Sono quelli che certi governi leggono la notte e che consigliano di aumentare la spesa pubblica e le imposte. Sono ricette che suggeriscono di intervenire con criteri politici nelle decisioni delle imprese private e di controllare politicamente gli organismi regolatori. I cittadini devono sapere che questa crisi richiede un importante sforzo collettivo, uno sforzo supplementare. Questa crisi richiede responsabilità, disciplina e dedizione da parte dei leader. Davanti alla crisi occorre lavorare di più, non di meno. È necessario che il settore pubblico sia austero. Servono riforme strutturali. Servono più competenza e maggiore flessibilità.
Non sono ricette divertenti, lo so. Ma in questo periodo così difficile per milioni di famiglie bisogna abbandonare una volta per tutte la frivolezza e dire ai cittadini la verità.
(traduzione di Manila Alfano)
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