da Roma
Tornano all’orizzonte le urne e, inevitabilmente, torna a surriscaldarsi il clima in Rai. Primo a scalciare, seguendo i dettami del cavallone posto all’ingresso di viale Mazzini, Carlo Rognoni, già parlamentare ds e consigliere d’amministrazione dell’ente. In una intervista rilasciata al Corriere della Sera in cui si presenta come l’alfiere del buonismo, chiedendo di evitare il ricorso a vendette o allo spoil-system, dopo il voto, si lascia scappare che a rischio - qualora prevalesse la sua parte - c’è forse solo il direttore del Tg1 Clemente Mimun. Visto che lui stesso, rivela Rognoni, gli aveva confessato a suo tempo come «ci sono alcuni posti che chi vince le elezioni decide di occupare e sicuramente il mio è uno di questi».
Vero o falso? Verissimo. E infatti la conferma di Mimun giunge a stretto giro di posta, sulle colonne del medesimo quotidiano. Ammette senza peli sulla lingua che il 6 dicembre scorso la frase la pronunciò, anche se non esattamente in quei termini. Ma aggiunge, il direttore del Tg1, una postilla: Rognoni, racconta, mi invitò «al fine di rasserenare il clima, a valutare l’opportunità di attribuire ad un giornalista di area diessina una vicedirezione del Tg1 e a fare il possibile per favorire la crescita professionale di un altro giornalista, a suo avviso meritevole, anch’esso vicino alla Quercia. E il riferimento allo spoil-system emerse perché sottolineai che, a mio avviso, come sempre, le elezioni avrebbero determinato nuovi assetti dei vertici Rai».
Mare agitato, come si vede. Che ieri diviene tempesta. Perché Rognoni, il quale ha evidentemente accusato il colpo, non ci sta. Prende carta e penna e scrive a Mimun e, in copia, al presidente, al direttore generale, al CdA tutto. «Non ho chiesto posti! Non rientra nella mia cultura e nel mio ruolo!». Ammette sì di aver chiesto «che ci si facesse carico delle tensioni interne e del malessere del Tg1», ricordando di avergli rammentato le dimissioni di un vice-direttore per protesta contro il «suo modo di dirigere il telegiornale» e di avergli raccomandato «il ripristino del pluralismo», ma solo questo. Dice invece di essere «meravigliato e stupefatto» per la ricostruzione dell’incontro dei primi di dicembre. Respinge secco ogni addebito sul tentativo di far «premiare» due giornalisti diessini (circola voce a Saxa Rubra che uno fosse Daniela Tagliafico, già vicedirettore spostata al Tg2 per polemiche con il suo capo e ora desiderosa di rientrare in vista del voto del 9 aprile), accusa Mimun di «malizia e malignità», lo attacca per la parzialità del suo tiggì.
Ma ancora una volta Mimun non ci pensa un minuto a replicare. «Confermo tutto, parola per parola» detta alle agenzie di stampa, rivelando tra l’altro di avere anticipato i contenuti della sua lettera allo stesso Rognoni venerdì alle 12. «Sono io che esprimo meraviglia e stupore per la sua meraviglia ed il suo stupore. Rognoni - prosegue - conferma tra l’altro la richiesta di un vicedirettore Ds esattamente nei termini che avevo usato nella mia lettera al quotidiano, ma dimentica invece di aver indicato anche un altro nome, di un giornalista di area diessina...».
Strano ma vero, dopo lo scambio epistolare e la guerra delle dichiarazioni, nessuno a sinistra si alza a prendere le difese di Rognoni. Solo l’Usigrai - che da una vita è governato dalla sinistra - punta un dito contro le «sottoutilizzazioni» dei giornalisti del Tg1 da parte di Mimun. Il quale chiude il round con un altro colpo da ko: «Io ho una memoria precisa. Altri, evidentemente, a corrente alternata.
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