Mishima: se il samurai indossa l’abito da sera

Ci sono scrittori che più di altri si prestano a essere mitizzati. Trasformati in icona di una nazione, di un’epoca di un particolare sentire. Yukio Mishima (1925-1970) è uno di questi. La sua immagine è cristallizzata: è il letterato-samurai, il cultore del gesto estremo che rifiuta l’omologazione del Giappone all’Occidente. Insomma, un conservatore anticapitalista i cui libri e il cui suicidio (fece seppuku dopo aver preso in ostaggio un generale dell’esercito giapponese) vanno di pari passo, vengono valutati senza soluzione di continuità.
Mishima stesso a questo tipo di lettura non si opporrebbe, ha lavorato molto o per costruirsi un’immagine, per recitare un ruolo. Nel suo biglietto d’addio, «La vita umana è breve ma io vorrei vivere per sempre», c’è il desiderio manifesto di avere quell’eternità che è garantita solo dallo stereotipo, dal mito.
A quasi quarant’anni di distanza dalla scomparsa di questo autore, che assieme a Kawabata è un pilastro della cultura giapponese contemporanea, si deve però guardare oltre l’immagine in posa che ci ha regalato. In questo senso aiuta molto Abito da Sera (Mondadori, pagg. 214, euro 9,80) appena pubblicato con una bella introduzione di Virginia Sica. Il libro nel nostro Paese era inedito e ci mette a confronto con un Mishima diverso, lontano dal cliché.
Abito da sera (Yakaifuku), infatti, è un romanzo «leggero» che l’autore scrisse per la versione giapponese della rivista Mademoiselle. Comparve in sedici puntate tra il 1966 e il 1967. Nel suo raccontare la storia d’amore tra la giovane Ayako e il suo brillantissimo fidanzato Toshio, costellata di avventure e disavventure provocate da un ambiente sociale glamour e molto americanizzato, consente di accostare un Mishima, forse più vero. Quel Mishima che a Tokyo viveva in appartamento, che si vestiva all’occidentale e andava al circolo di equitazione, che conosceva i tic dell’alta borghesia giapponese ed era capace di riderci sopra.
Non per tutti i lettori sarà facile saldare questo romanzo con la produzione più conosciuta dello scrittore. Eppure alcuni temi tornano, anche solo accennati. Come la volontà di potenza incarnata da Toshio, la solitudine.

Persino l’idea di colpo di Stato. Solo che virati al rosa, soffusi. Leggendo qualcuno, sbufferà, preferendo continuare a immaginare lo scrittore sempre a katana sguainata. Qualcun altro apprezzerà il Mishima che continua a stupire.

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