«Dopo il mistico politico ora c’è il teologo pastore»

Il professor Giovanni Maria Vian «rilegge» il primo anno di pontificato: «Il nuovo Pontefice ha saputo entrare subito nel suo ruolo»

da Roma

«Dopo Wojtyla, Papa mistico, profetico e politico, è arrivato Ratzinger, Papa teologo e pastore». Così il professor Giovanni Maria Vian, docente di filologia patristica alla Sapienza di Roma e storico del cristianesimo, «legge» il cambio di pontificato.
Qual è il bilancio di questo primo anno di pontificato di Papa Benedetto?
«Il nuovo Papa ha saputo entrare subito nel suo ruolo, anche se era ragionevole pensare che il successore di Giovanni Paolo II fosse lui, vista la sua autorevolezza, benché proprio Ratzinger fosse uno dei due cardinali non creati da Papa Wojtyla presenti nel conclave. E il bilancio è positivo, benché non ci siano state iniziative clamorose e molti si chiedano che cosa vorrà fare Benedetto XVI».
A prima vista potrebbe sembrare un anno di attesa...
«In realtà non è così. Il Papa è già intervenuto su tutto ciò che gli stava a cuore, con il suo stile sommesso, negli incontri con i cardinali, con i vescovi, con alcuni intellettuali; e negli incontri pubblici, come l’ultimo con i giovani: ha spiegato che bisogna ripartire dall’essenziale della fede, dall’incontro con Cristo, che è fonte di gioia. E all’inizio del pontificato ha detto che non intendeva fare programmi, ma mettersi all’ascolto di Cristo, che non è un’idea o una dottrina, ma una persona».
Quali differenze sono emerse rispetto al predecessore?
«Le principali differenze sono di stile, ma questo accade in tutte le successioni papali: la continuità è ovvia, ma nello stesso tempo è naturale una discontinuità. Basta pensare agli ultimi Papi, a partire da Pio IX: tutte personalità di assoluto rilievo e proprio per questo molto diverse tra loro. Giovanni Paolo II è stato un Papa mistico, profetico e politico allo stesso tempo. Benedetto XVI appare rivolto alla predicazione fondata sulla grande tradizione della Chiesa: è un raffinato teologo, capace però di rendere comprensibile a tutti quello che dice, da autentico pastore. Senza promuovere il proprio punto di vista teologico, per dieci mesi nelle udienze del mercoledì ha avuto la delicatezza di parlare sulle tracce dei discorsi preparati per il predecessore. E senza troppe citazioni parla davvero come un Padre della Chiesa».
Che cosa è cambiato nel modo di lavorare della Curia?
«Al momento non molto, anche se il Papa sembra intenzionato a snellire la Curia per renderne più evidente la funzione di servizio alla Chiesa universale. Nel modo concreto di lavorare, attraverso le riunioni dei dirigenti curiali e dei cardinali prima del concistoro, Benedetto XVI sta indicando la via della collegialità. Anche attraverso una maggiore valorizzazione delle competenze delle singole congregazioni, che devono essere coordinate con efficacia ma non sostituite dalla Segreteria di Stato».
Benedetto XVI è un Papa meno «mediatico» di Wojtyla: è calata l’attenzione della gente?
«Certamente Benedetto XVI è meno “mediatico”, ma la gente ascolta e legge con interesse le parole del papa. È indubbio che Ratzinger non cerchi visibilità allo stesso modo del predecessore. Giovanni Paolo II veniva dalla storia della Polonia, da una Chiesa forte ma schiacciata sotto il tallone comunista, una Chiesa che aveva bisogno non solo di resistere ma anche di apparire per dare conforto ai fedeli. Da Papa ha continuato con questa strategia, modificando il papato e proiettandolo ancor di più sullo scenario mondiale: i viaggi sono stati il suo principale strumento per diffondere il messaggio cristiano. Questo ha fatto sì che l’attenzione mediatica si concentrasse tutta sulla sua persona, arrivando talvolta alla spettacolarizzazione. È stato detto, con una battuta, che durante il pontificato di Giovanni Paolo II “piaceva il cantante, non la canzone”. Ratzinger è invece molto concentrato sulla “canzone”, anche perché ormai l’attenzione sul “cantante” c’è già, dopo i grandi pontificati dell’ultimo secolo».
Quanti si aspettavano un pontificato «nerboruto» che riaffermasse l’identità cristiana dell’Europa, magari innalzando antemurali contro l’islam, sono rimasti un po’ spiazzati da Papa Ratzinger, che invece nella sua prima enciclica ha parlato dell’amore...
«È vero. Ma era sbagliata l’etichetta di “grande inquisitore” che era stata preventivamente applicata al cardinale Ratzinger. Benedetto XVI è convinto dell’impossibilità di identificare il cristianesimo con l’Occidente e non si sente certo il cappellano di un certo occidentalismo. Ma, nello stesso tempo, essendo un intellettuale che conosce il dramma della secolarizzazione dell’Europa e la tragedia dei totalitarismi, è ben cosciente di tutti i risvolti culturali di questa secolarizzazione e dunque della responsabilità enorme che ha il cristianesimo europeo nei confronti del resto del mondo. Per questo è preoccupato della ricostruzione culturale dell’Europa e di un vero incontro con i laici, ma senza identificare la causa del cristianesimo con quella dell’Occidente consumista e anticristiano».
C’è stato un cambio di rotta nell’atteggiamento verso l’islam?
«Sì, c’è stato, anche perché è cambiato l’islam. È urgente non permettere che la religione sia strumentalizzata per fini politici o, peggio ancora, terroristici. Già Giovanni Paolo II con i suoi gesti ha cercato di evitare l’identificazione tra cristianesimo e Occidente secolarizzato, e ha valorizzato dialogo e incontro. Su queste basi, dopo l’11 settembre 2001 è ancora più urgente impedire la crescita del fondamentalismo e in questo la posizione del nuovo Papa è più chiara e più ferma. Benedetto XVI, che ha ricevuto Oriana Fallaci, ha voluto parlare anche con Hans Küng delle comuni basi etiche delle religioni. Considera il dialogo tra le religioni come dialogo impegnativo tra le civiltà per assicurare la convivenza pacifica tra i diversi mondi culturali».


A quale altro Papa paragonerebbe Benedetto XVI?
«Se penso al grande teologo capace di essere pastore, a Leone Magno. Ma per la particolare sensibilità intellettuale, con un paragone vicino a noi, mi viene in mente Paolo VI».

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