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Il modello-Padova che piace tanto ai Democratici? Tre soli iscritti

Sono solo quattro le persone - due coppie - che a Padova hanno beneficiato dei cosiddetti matrimoni gay che poi di matrimonio hanno ben poco. Il registro delle unioni civili di cui parla l’assessore alle Politiche sociali di Palazzo Marino, Pierfrancesco Majorino, prende a modello quello di Padova «una sorta di anagrafe dove si possono registrare le coppie di fatto». Il 4 dicembre 2006 a Padova il consiglio comunale ha approvato una mozione proposta dall’allora consigliere Ds e presidente dell’Arcigay Veneto Alessandro Zan, ora assessore all’Ambiente, che istituisce la possibilità per l’ufficio comunale rilasci, a chi lo richiede, l’attestazione di «famiglia anagrafica basata su legami affettivi». Sostanzialmente si tratta di un certificato di convivenza - diversa dallo stato di famiglia perché certifica la convivenza basata su legami affettivi - che viene firmato alla presenza di un impiegato comunale, che poi rilascia l’attestato. Sia chiaro il provvedimento è tutt’altra cosa rispetto ai Dico, o dei Pacs, perché non ha nessun valore.
Sarà per questo che dopo l’euforia iniziale - il primo a sottoscrivere il certificato di convivenza, pratica che avviene nelle sedi del comune, sono stati il consigliere Zan e il suo compagno. A stretto giro di posta altre due coppie hanno celebrato la cerimonia di consegna dell’attestato, poi il nulla. Passato l’entusiasmo o forse svelato l’arcano - il puro valore simbolico del provvedimento - le coppie omosessuali hanno pensato di proseguire la propria convivenza nell’ombra.

«Il modello Padova è una bufala - commenta l’ex assessore ai Servizi civici Stefano Pillitteri - perché non ha nessuna validità. Così per quanto riguarda e graduatorie delle case Aler è la regione che ha il regolamento, non il Comune. È una parodia, un pezzo di carta che non ha nessun valore».

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