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Peter Eisner, esperto di scenari geostrategici, spiega le cause dell’imbarazzo Usa

Che fine ha fatto il mondo unipolare uscito dalla Guerra fredda? Quello in cui l’America, unica potenza planetaria rimasta dopo il crollo dell’Urss, poteva ambire al ruolo di protagonista indiscussa sulla scena globale e dettare la sua legge? All’apparenza quel mondo non c’è più. E le forze in primo piano a livello internazionale, la superpotenza economica cinese, la Russia neo-imperiale, il magmatico mondo del terrorismo islamico con la sua rete ben ramificata anche in Occidente, appaiono sempre più aggressive e meno controllabili.
La situazione è cambiata in fretta. Nel settembre 2005 Foreign Affairs, bibbia degli analisti di politica internazionale, dedicava la copertina a come gli altri Paesi (dall’Europa alla Russia) potevano sperare di addomesticare l’inarrestabile superpotenza Usa («Taming of American Power»). Nel maggio del 2008 la stessa rivista mostrava tutt’altro umore. Il titolo in copertina era «Il futuro dell’America: come gli Usa possono sopravvivere al ritorno del resto del mondo». Nel testo Fareed Zakaria, politologo e saggista, affrontava il paragone tra il declino dell’impero britannico e quello dell’impero Usa.

In realtà, era la conclusione, a segnare la fine della grandezza inglese è stata l’inefficienza economica, mentre i fondamentali dell’economia Usa (contingenze e mutui a parte) restano più che solidi. Nulla di definitivo, dunque. Ma di sicuro, il passo del colosso Usa è diventato meno sicuro. E per l’Europa appoggiarsi al grande alleato non è più garanzia di tranquillità.

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