Mussolini torna a «vegliare» sulla giustizia

da Milano

Non sarà un lavoro né facile né breve. Ma - a meno di insormontabili intoppi tecnici - l’inconfondibile profilo del cavalier Benito Mussolini tornerà a svettare in un’aula del Tribunale di Milano. È l’aula della Quinta sezione penale, al terzo piano del palazzo di giustizia, dove più di sessant’anni fa, all’indomani della Liberazione, una robusta mano di pittura arancione coprì il ritratto del Duce, immortalato insieme ad altri grandi della terra nell’affresco del pittore fiorentino Primo Conti. Per sessant’anni la grande chiazza arancione è rimasta lì, suscitando gli interrogativi di imputati e pubblico. Ma gli addetti ai lavori sapevano che lì, sotto quel singolare rattoppo all’insegna del politically correct, c’era il fondatore del fascismo. Ed ora Mussolini è destinato a riemergere, grazie al lavoro di catalogazione, conservazione e restauro che la Direzione regionale dei beni artistici sta varando in tribunale: tra i primi tre interventi in programma c’è proprio il restauro dell’affresco dell’aula della Quinta penale. Che non verrà solo ripulito della fuliggine ma anche riportato alle condizioni originali: Mussolini compreso.
La storia dell’affresco dove compare il Duce è piuttosto singolare. Quando alla fine degli anni Trenta Primo Conti venne chiamato a collaborare agli affreschi del nuovo palazzo di giustizia milanese - creato da Marcello Piacentini - era già un artista affermato e decisamente grato al regime (il suo Ritratto di Mussolini a cavallo era stato esposto alla Biennale di Venezia). Ma il tema scelto per l’aula del terzo piano, La Giustizia del Cielo e della Terra, gli scatenò addosso un mare di polemiche: perché, ai piedi del Redentore in trono, tra gli umani sottoposti al Giudizio, l’artista aveva collocato - con Napoleone, Virgilio e altre figure - anche il Duce. Apriti cielo! Per salvare Conti dall’accusa di avere mancato di rispetto a Mussolini dovettero intervenire, insieme a Piacentini, anche gerarchi liberal come Grandi e Bottai. E l’affresco potè restare al suo posto. Ma solo per poco: perché sei anni dopo, a fascismo caduto, partì la ripulitura del palazzo dai simboli della dittatura. Vennero scalpellati i fasci littori, rimosse le lapidi. E ricoperto di vernice senza tanti complimenti il Mussolini di Primo Conti. Così, per decenni, malavitosi, brigatisti e tangentari sono stati processati sotto quell’incomprensibile chiazza arancione. In quale posa sia ritratto il Duce non lo sa nessuno. E nessuno sa quanto la vernice arancione abbia danneggiato definitivamente l’affresco. Ma, insomma, ci si proverà. Anche perché, dopo decenni di incuria, il valore delle opere che adornano il tribunale - da Carrà, a Sironi, a Campigli: il meglio dell’arte italiana tra le due guerre - è tornato a essere compreso e valutato.
Così, con grandi fatiche, è partito il progetto di recupero.

Che ha già toccato capolavori bistrattati, come quello nascosto nella biblioteca del tribunale, e che toccherà lo straordinario mosaico di Sironi nell’aula della Corte d’assise d’appello, quella dei maxiprocessi. E che riporterà alla luce - magari tra qualche, inevitabile polemica - anche Benito Mussolini.

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