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Nazionale Usa? No, una squadra di club

I calciatori yankee si allenano sempre e vanno in campo con la frequenza di un team impegnato in campionato

Non è una questione di little Italy anche se il motivetto è sempre quella. Italia-Usa c’è una storia antica, that’s amore. No, il soccer, perché il football in America è un’altra cosa, il calcio degli States ha preso corpo dopo il momento di folklore dell’altro secolo, i giorni di Pelè e Chinaglia, dei Cosmos e di un torneo che prevedeva la sua parte principale nei campi sintetici e nelle cheers leaders. Bruce Arena, arieccolo il brokkolino che è in tutti loro, ha già detto che per lui si tratta di una questione di cuore, quasi un dovere di eredità, considerato il cognome da bulli e pupe. Ma la nazionale yankee è quella che ha ribaltato l’abitudine, cattiva, del resto del mondo dove le leghe, cioè i club sono più importanti della federazione, dunque della nazionale. No, qui, anzi laggiù negli States, la nazionale di Bruce Arena gioca, praticamente, tutto l’anno, ha vinto il suo girone finale con 5 successi, un pareggio quattro sconfitte ma ha anche dimostrato una fragilità difensiva allarmante: 15 gol realizzati e 14 incassati. Non è più una squadra di collegiali, non è soltanto una formazione di atleti venuti su con gli hamburger e la coca cola, il calcio americano è cresciuto al punto da collocarsi all’ottavo posto del ranking Fifa che significa aver fatto meglio della nazionale italiana. Se dovessimo dare retta ai numeri, dunque, anche in questo caso gli azzurri di Lippi dovranno fare il colpo del secolo per battere un avversario che fino a qualche anno fa poteva soltanto essere utile per alcune esibizioni amichevoli. Beasley è il suo calciatore principale e l’età fresca (23 anni) lo trasforma in bandiera del nuovo corso americano. Qualche nostalgico sventola bandiera del primo mondiale, nel 1930. In Uruguay, la nazionale di Jack Coll arrivò alla semifinale e venne battuta (anzi travolta 6-1) dall’Argentina.

E nell’edizione del Cinquanta la storica vittoria a Belo Horizonte con gol di Eduard Souza sull’Inghilterra che aveva messo da parte il superiority complex presentandosi per la prima volta alla coppa del mondo. L’America vive di nostalgia, questo è uno scoop.

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