No della Chiesa ortodossa al piano Onu sul Kosovo

Mosca: «Nessuno può imporre una soluzione esterna»

da Belgrado

Anche la Chiesa ortodossa, tradizionale bastione dell’orgoglio nazionale, ha unito ieri la sua voce alla raffica di no pronunciati venerdì dalla Serbia alle proposte sulla provincia secessionista a maggioranza albanese del Kosovo avanzate dal mediatore dell’Onu, Martti Ahtisaari.
Il piano di Ahtisaari conduce dritto verso il riconoscimento dell’indipendenza della provincia contesa, rimasta sotto tutela internazionale per oltre sette anni dopo i bombardamenti Nato del 1999 e l’allontanamento delle forze di repressione dell’allora regime belgradese di Slobodan Milosevic. Certo si tratterà di una realtà a sovranità limitata, ma lo scenario è quello di un nuovo staterello autonomo.
Una prospettiva che suscita l’indignazione della Chiesa ortodossa serba, che proprio in Kosovo ha le sue radici secolari, simboleggiate in forma di capolavori dai monasteri medievali sparsi nella provincia. Una terra popolata ormai per oltre il 90% da albanesi decisi alla secessione, ma che la Serbia considera da sempre culla della sua fede e civiltà.


Il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, reduce da una visita negli Usa, dove ha incontrato il presidente Bush e il segretario di Stato Rice, ha sottolineato come la visione della Russia sulla questione sia agli antipodi di quella americana. Mosca ritiene «inammissibile una imposizione dall’esterno a qualunque delle parti in causa».

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