Non solo Verdi Il Teatro dell’Opera deve aprire il palcoscenico al musical

L'amico Sergio Maifredi pochi giorni or sono si è profuso dalle colonne del Giornale in una interessante ellissi a favore dell'innovazione nella gestione del teatro Carlo Felice. Le sue proposte, che condivido in gran parte, dovrebbero essere in linea con le intenzioni il Commissario e in totale disaccordo con la visione conservatrice della Sindaco e della sua parte politica. Ben venga dunque l'apertura a produzioni diverse dalla lirica, dalla musica e dal balletto classici, ben venga una gestione più snella e libera dalle panie velenose della politica, sia di destra che di sinistra. Ma su un punto in particolare, a mio parere esiziale, mi trovo d'accordo con Maifredi (ed eventualmente con il Commissario). I teatri lirici devono aprirsi al musical. Questo genere spettacolare e modernissimo garantisce infatti la presenza in massa del pubblico più giovane. Si può affermare con sufficiente sicurezza che il musical sia il diretto discendente della lirica. Ad essa ha aggiunto la danza e l'atletismo, ma l'imponenza delle scene, i toni melodrammatici, la preponderanza della musica e di alcune «arie» ne fanno l'erede del bel canto in salsa contemporanea. Personalmente sono un grande appassionato di musical ed ogni anno mi reco a Broadway per assistere alle ultime messe in scena. Qualcuno obietterà che si tratta di un fenomeno prettamente anglosassone e che inserendo nei cartelloni dei teatri lirici spettacoli di tal fatta se ne inquinerebbe l'italianità culturale.
Facile rispondere che, se nell'ottocento la lirica era a quasi esclusivo uso del belpaese, con i migliori musicisti, librettisti e cantanti, in seguito molte delle creazioni più interessanti sono venute da paesi come la Francia e la Germania e il genere è diventato internazionale. Altri melomani s'indigneranno per la profanazione del tempio da parte della moderna musica pop, dimenticando che la lirica dei tempi d'oro era proprio il genere popolare per eccellenza, laddove per popolo, a quell'epoca, s'intendeva la sola borghesia danarosa. Nei teatri, durante l'ottocento, si mangiava, si beveva, si faceva baldoria e si andava soprattutto per mostrarsi in società. Più tardi soltanto la lirica acquisì, come tutti i generi nati dal gusto popolare, l'alone colto che ancora oggi la circonda. D'altro canto un'apertura su nuovi orizzonti è indispensabile per la sopravvivenza stessa dei teatri lirici, afflitti da un endemico stato di dissesto. Pure il grande jazz orchestrale alla George Russell (deceduto proprio pochi gironi fa) dovrebbe entrare nell'orbita del Carlo Felice per attrarre quel particolare pubblico di professionisti e appassionati che segue con venerazione la nobilissima arte sonora che fu di Louis Armstrong e di Miles Davis. Per non parlare della danza contemporanea, in grado di fornire spettacoli di altissimo livello artistico.

Insomma, la conservazione va superata se si vuole dare un futuro allo splendido teatro genovese e ai tanti orchestrali, macchinisti, collaboratori che lavorano dietro le quinte delle produzioni. Soprattutto se non si vuole rinunciare ad aggiornare la tardigrada e pigra mentalità dei genovesi anche in questo settore. Un granello nel deserto, sicuro, ma pur sempre un granello che costruisce il domani.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica