Occorre più sinergia tra pubblico e privato

Da un lato i centri per l’impiego, dall’altro le agenzie per il lavoro. Nel mezzo, un ampio numero di persone in cerca di occupazione. E se le auspicate sinergie fra uffici pubblici, 539 in tutto il territorio, e uffici privati (sono oltre 2.500 le filiali delle 83 Apl attive in Italia) non trovano appigli tra le pieghe del Ddl Fornero, che pure stabilisce nuove regole per i Cpi e le politiche attive del lavoro rimandandone l’attuazione a una legge delega, è difficile non pensare a un’occasione sprecata. Anche perché gli sportelli pubblici che il testo della riforma incarica di attivare azioni di orientamento collettive e corsi di formazione almeno bisettimanali a seguito di colloqui entro i tre mesi dalla disoccupazione sono gli stessi che, secondo l’indagine Isfol Plus 2010, sono riusciti a offrire opportunità d’impiego a meno di un lavoratore su 10 tra quanti vi si sono rivolti (circa 2 milioni) vedendole poi concretizzare in minima parte, tant’è che dal 2003 in avanti solo il 3,1% dei connazionali in cerca di lavoro è stato ricollocato tramite i Cpi.
Lo Stato, del resto, spende poco e sempre meno per il collocamento (200 euro circa a disoccupato contro i 3mila euro della Germania, stando a Eurostat) e concentra gli investimenti sulle politiche passive, che hanno registrato continui incrementi. Troppo pochi, inoltre, gli addetti nei Cpi dedicati all’orientamento e all’inserimento lavorativo dei candidati (un operatore ogni 226 utenti) e troppo frequenti, come dimostrano le cifre, i casi di allocazione inefficiente della forza lavoro, che ascrive costi rilevanti al mancato accoppiamento tra competenze richieste e offerte. Se è vero che i Cpi possono assumere una funzione propedeutica rispetto ad altri intermediari con funzione di collocamento, le Apl, cresciute molto tra i canali usati per la ricerca del lavoro, si candidano a rilanciarne il testimone. I dati Eurociett, tra il 2009 e oggi, confermano un tasso di penetrazione al raddoppio, pronto ad allinearsi alla media europea. A metà dello scorso anno erano 278mila i lavoratori in somministrazione, il 10,3% in più rispetto al 2010, facendo segnare un monte retributivo in crescita del 21 per cento.
Le rilevazioni condotte nei Paesi dell’Ue, inoltre, mostrano che maggiore è il tasso di penetrazione della somministrazione, più basse risultano le percentuali di disoccupazione. Condividere gli archivi afferenti ai servizi pubblici per il lavoro potrebbe favorire il migliore incontro tra domanda e offerta, così come spingere sulla somministrazione significherebbe aumentare la diffusione della flessibilità tutelata. Proprio perché si tratta di un contratto di lavoro dipendente che assicura i medesimi diritti e la stessa retribuzione degli addetti di pari livello delle aziende utilizzatrici; la somministrazione è infatti contraddistinta da un sistema di formazione finalizzato (con l’obbligo di collocare almeno il 50% di chi segue i corsi) e da un mini-welfare autofinanziato. Ciò che, insieme all’opportunità di vedere schiudere nuove occasioni una volta esaurita la missione, fa la differenza rispetto al contratto a termine: quest’ultimo, una volta concluso, lascia il lavoratore a se stesso. Fatta salva la stabilizzazione, obbligata dopo 36 mesi complessivi di lavoro, compresi rinnovi e proroghe, presso lo stesso utilizzatore. In modo analogo è prevista l’assunzione a tempo indeterminato del lavoratore in somministrazione da parte dell’Apl allorché siano trascorsi al più 42 mesi al servizio della medesima agenzia. Oggi sono oltre 10mila gli occupati già divenuti per le Apl un capitale su cui investire con l’assunzione diretta: lavoro sicuro per i primi e disponibilità certa di professionalità qualificate per le seconde.

Dato che la somministrazione è un modo per contrastare il lavoro senza tutele, consentendo di sperimentare le proprie attitudini in una posizione lavorativa per cambiare poi obiettivo attraverso la formazione gratuita, tramite cui si rendono più appetibili i profili professionali, restano pochi dubbi sull’opportunità di svilupparne la diffusione.

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