Oggi, come nel ’60 a De Ferrari

Tra le tante notizie che oggi la stampa quotidiana riportava una di queste mi ha colpito in particolare riportandomi indietro nel tempo, anche se il fatto ha avuto un qualcosa di diverso nella sua oggettività della provocazione in se stessa e dei momenti vissuti.
Eravamo alla fine di giugno del 1960, ero in servizio nel 1º Battaglione Mobile Carabinieri di Torino quando giunse l’ordine per la 1ª e 2ªCompagnia di raggiungere Genova dove doveva avere luogo il Congresso del Movimento Sociale Italiano.
La partenza avvenne durante la notte e giungemmo a destinazione alle prime luci dell’alba. Dopo essere stati logisticamente sistemati e aver incominciato a vivere il clima ostile nei confronti di tale Congresso, senza soffermarmi su varie ideologie che caratterizzavano il momento che a Genova si stava vivendo, perché noi eravamo stati incaricati per «salvaguardare l’ordine nel rispetto delle leggi dello Stato».
Il 30 di giugno, dal mattino in poi, il mio reparto era stato incaricato di tutelare i congressisti che si trovavano all’interno del Teatro Margherita. Quando dopo il discorso del segretario della Camera del Lavoro Pigna, sui motivi che avevano indotto i partiti ed i sindacati ad opporsi al Congresso, la folla presente si è sciolta dirigendosi verso via XX Settembre e ricompattandosi per dare luogo ai tumulti che infiammarono in particolare il centro di Genova.
Noi facevamo il possibile e l’impossibile per respingere i dimostranti che volevano penetrare all’interno del Teatro. Uno di questi ebbe modo, con in mano un uncino, di tentare di colpirmi al viso, respinto dalla mia reazione civile, senza fare uso dell’arma di cui ero in possesso. Perché bisognava salvaguardare l’ordine, perché bisognava tenere i nervi a posto senza lasciarsi trascinare in atti che avrebbero innestato altre e più gravi reazioni.
Alla sera si normalizzò l’ordine pubblico, con lo stilare un bollettino quasi di guerra con un centinaio di feriti tra carabinieri e poliziotti, con tre camionette ed una edicola incendiate, un capitano della Celere immerso nella vasca di piazza De Ferrari e gruppi di guardie sottoposte ad un vero e proprio linciaggio.
Dopo alcuni giorni, prima del rientro a Torino, mi trovavo nei pressi di piazza Caricamento assieme al mio collega Desantis, quando casualmente ebbi modo di incontrare e riconoscere il dimostrante che con «l’uncino» aveva cercato di colpirmi al viso.
Lo fermai mi presentai ed ebbi modo di chiedergli «Perché?». Perché aveva tentato una certa «violenza» quando io cercavo solo di fronteggiarlo senza fare uso di armi proprie o improprie che siano? Non ebbe modo di rispondermi disse solo che era dispiaciuto. In quel momento non dimostrava alcun coraggio, perché era solo.
Così penso che se un domani il carabiniere che è stato insultato dal manifestante «No Tav» con frasi come «Che fai pecorella?», «Vorrei vederti sparare», «Che pecorella sei?», come riportato dai quotidiani e Tv, proseguendo con frasi come «Non ce l’hanno un nome o un numero», «Lo sai che sei un illegale? Dovresti avere il numero di riconoscimento. Io così non so chi sei». Il carabiniere è immobile non reagisce. Imperscutabile dietro la visiera e la maschera antigas. Come riportato da il Giornale a firma Stefano Zurlo.
Il carabiniere pare sempre una statua. Chissà anche per lui nella mente quali cose stiano galoppando, forse quella di poterlo incontrare da solo e chiedergli di ripetergli gli insulti, le provocazioni che ha proferito, forse mi sbaglio ma ne dubito che possa avere tanto coraggio.


Forse anche lui si scuserà dicendo frasi di circostanza attinenti o meno alle sue idee di manifestante No Tav, forse dirà chissà quali parole ma certamente non riconoscerà di avere offeso la dignità del carabiniere che faceva il suo dovere, quello di far rispettare le leggi dello Stato salvaguardando l’ordine.
*maresciallo carabinieri
in quiescenza
ispiratore dei «Racconti»
di Mario Soldati

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