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Le pale eoliche e i nostri soldi buttati al vento

Caro Granzotto, in Puglia colpisce in senso negativo la diffusione dei pannelli fotovoltaici, già installati o in via di installazione, nei campi, con il risultato di ridurre gli ettari di superficie coltivabile. Ciò fa, evidentemente, la gioia degli ecologisti-ambientalisti i quali, avvantaggiandosi momentaneamente degli ecoincentivi statali (sono soldi di tutti noi), pensano che in futuro potremo mangiare kwh e non pane e i sani prodotti della terra. Ma ciò che mi ha fatto veramente indignare è stato il cartello esposto nella sala dei check-in dell’aeroporto di Bari che riporta informazioni false: per prima cosa si dà per scontato che l’energia prodotta con il fotovoltaico sia alternativa a quella prodotta per combustione di olio combustibile (si potrebbe produrre con il nucleare) e poi si calcola il risparmio di anidride carbonica rilasciata nell’ambiente stechiometricamente a partire dall’olio combustibile risparmiato. Quest’ultimo fatto è vergognosamente inaccettabile. Infatti così sarebbe se: i pannelli e le strutture di sostegno non necessitassero di energia (ottenuta come?) per la loro costruzione; i pannelli e le strutture di sostegno fossero prodotti in loco e non dovessero essere trasportati (con mezzi di trasporto che utilizzano quale forma di energia?); i pannelli e le strutture di sostegno fossero eterni, ovvero non necessitassero alla fine della loro vita operativa di essere trattati (con quale forma di energia?) e smaltiti in discarica (sotto quale forma non inquinante?).
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Accidenti, caro Antongiovanni, stechiometricamente... Ho dovuto informarmi e a beneficio dei lettori dirò che la stechiometria studia - e significhi quel che significa - i rapporti quantitativi delle sostanze chimiche e delle reazioni chimiche. Ciò detto, lei ha ragione da vendere. Grazie a Nichino Vendola la Puglia è diventata il paradiso del fotovoltaico. E anche con l’eolico non scherza, pur se il paradiso di quel tipo di energia detta alternativa resta il Molise. La ragione è molto semplice: con l’energia verde si fanno soldi a palate (e, come registra la cronaca, anche tanti inghippi). Un dato solo, che spiega poi tutto: il costo dell’energia, qui in Italia, si aggira sui sessanta euri a chilowattora. Chi la produce col fotovoltaico di euri ne incassa invece ben 400. Siccome il piatto è ricco, sollecitati da quel genio di Nichino i bravi pugliesi ci si sono buttati tappezzando di pannelli fotovoltaici 360 ettari di terreno coltivabile. Questa pacchia, questo Bengodi è reso possibile dai succulenti incentivi (i «più profittevoli al mondo», parola dell’Authority in materia), che ovviamente sono a carico del contribuente; e non parliamo di bruscolini: si tratta di quasi sei miliardi di euri, usciti dalle nostre tasche per entrare in larga quota in quelle dei benefattori ambientalisti che piazzano pannelli e alzano pale dove capita capita. Anche in località, per parlare dell’eolico, dove se soffia qualcosa non si va più in là della brezza, se va bene. O anche in aree, per tornare al fotovoltaico, dove ce n’è una tale concentrazione da produrre un sovraccarico che, non potendo essere utilizzato, va sprecato (e quelli son proprio soldi, nostri, gettati al vento). Forse perché sgomentati da questa «ubriacatura generale», son sempre parole dell’Authority, gli addetti ai lavori hanno deciso di mettere un tetto agli incentivi concessi per il fotovoltaico. Raggiunta la quota degli 8mila megawatt, stop. Chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto. Il lettore Carlo Cerofolini, che in materia ne sa una più di Giuliano Amato, ci manda comunque a dire che raggiunti quegli 8mila megawatt sborseremo di incentivi, in vent’anni, 120 miliardi. Pagando il chilowattora l’80 per cento in più rispetto al prezzo medio nell’Ue.

Se si aggiunge quel sottaciuto costo in produzione di anidride carbonica che lei, caro Antongiovanni, ci ricorda (non esiste energia verde che sia davvero «pulita»), un conto un po’ salato per compiacere le smanie ambientaliste dei Nichini Vendola.
Paolo Granzotto

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