Paolo Manna

Nato ad Avellino nel 1872, studiò a Napoli e poi alla Gregoriana di Roma. Ma il suo ideale era fare il missionario. Così, nel 1891 entrò nel seminario delle Missioni Estere di Milano, dove fu ordinato sacerdote nel 1894. L’anno seguente partì per la Birmania. Ma il suo fisico non reggeva il clima e, dopo tre diversi tentativi di rientro, nel 1907 padre Manna dovette gettare definitivamente la spugna. Tornò dunque in Italia. Si riteneva un missionario fallito ma ben presto comprese di essere solo stato chiamato dal Padreterno ad altri compiti. Infatti, nel 1916 fondò l’Unione Missionaria del Clero, che poi fu approvata dai papi (tra cui Pio XII) e dichiarata Opera Pontificia. Dieci anni dopo fu lui il primo superiore generale del Pime, il Pontificio istituto per le missioni estere che il papa Pio XI aveva creato fondendo gli istituti missionari di Milano e di Roma. Viaggiò molto, in Asia e nelle Americhe, e scrisse anche parecchio: una ventina di opere, tra cui spiccano le Osservazioni sul metodo moderno di evangelizzazione. Avviò anche una mezza dozzina di riviste missionarie e risiedette a Roma come titolare del Segretariato internazionale della sua Unione missionaria del clero, oggi diffusa in tutto il mondo. Morì nel 1952 a Napoli, mentre dirigeva il centro missionario del suo istituto che là stava. Il più conosciuto esponente del Pime è, oggi, padre Piero Gheddo, decano dei missionari italiani ed espertissimo di sottosviluppo. Come ebbe a dire Montanelli, dovrebbero darli a lui, i soldi degli aiuti. L’avessero fatto, oso dire che oggi non ci sarebbe più sottosviluppo.
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