La legge sul fine vita in discussione alla Camera è oggetto di critiche da parte dei pro-life e dei pro-choice. Potrebbe avere ragione Giuliano Ferrara quando scrive che essa è irrimediabilmente sbagliata. Vorrei godere della libertà di poter sostenere la mia preferenza per nessuna legge, visto il rischio di esporre tutti noi al dispotismo etico dello Stato o allimpossibilità di regole. Il nostro Stato però, non si fonda sulla Common law e tra quelli a Civil law soffre da decenni della pretesa normativa del giudice, che sempre di più si erge a legislatore in base a personali convinzioni politiche ed ideologiche.
Sembra essere opinione comune che la discussione di una legge sul fine vita sia nata dal potere della medicina di «rianimare i morti», una condizione sconosciuta in passato e che ci impone di trovare la via per rispettare il diritto della persona a non avvalersi di cure o terapie anche in una condizione di incapacità di intendere e di volere. In realtà la medicina ha sempre risolto il dilemma tra cure e volontà, presumendo lattaccamento alla vita. Se si giunge in un pronto soccorso in stato di incoscienza nessuno si interroga sul da farsi: si interviene. Anche nel caso si trovi nellincapacità di intendere o di volere, il medico mette in atto i presidi terapeutici per evitare la morte. Salvo i casi in cui le terapie siano non proporzionate, non efficaci o non adeguate alle condizioni cliniche del paziente, cioè quando intervenire si configurerebbe come accanimento terapeutico. Il che non è così infrequente.
Il lavoro del Parlamento per scrivere una legge sul consenso informato ai trattamenti sanitari e i limiti di eventuali dichiarazioni anticipate in tema di terapie ha avuto origine nei tribunali. Non ci sarebbe stata ragione di porre mano a una legge se non ci fosse stata unoffensiva per costruire la «via giudiziaria» alla legalizzazione delleutanasia. Su questo è stata sacrificata Eluana Englaro ed è in questa direzione che guardano i giacobini che inneggiano alla supremazia della Corte Costituzionale e affermano che larticolo 32 della Costituzione («Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario») rappresenta un nuovo Habeas corpus in linea con laffermazione di uno dei padri del pensiero liberale, John Stuart Mill, secondo cui lo Stato deve riconoscere a ciascuno la «sovranità su di sé e sul proprio corpo». Peccato che quando Stuart Mill scriveva, non pensava alle cure, ma allespressione latina Habeas corpus ad subjiciendum, («che tu abbia la disposizione del tuo corpo, della tua persona») in nome del diritto dellinviolabilità della libertà contro le detenzioni illegali disposte dallo Stato. Un tema su cui i giacobini della Costituzione non appaiono così sensibili. Il punto più controverso della legge è la indisponibilità di alimentazione e idratazione nelle dichiarazioni anticipate di trattamento. Se si è in condizione di intendere o di volere ci si può lasciare morire. Ma se si è affidati alle cure di un medico, nessuno può imporre al medico di non somministrare cibo e acqua nei modi possibili. Secondo alcuni questo annullerebbe la volontà della persona, che la dichiarazione anticipata vorrebbe preservare anche attraverso lindicazione di un fiduciario. In realtà la dichiarazione anticipata di trattamento non può che essere, come dice la legge, un orientamento nei confronti del medico. Perché a privare la persona della volontà non è la legge, ma la natura o laccidente, di cui la legge non può che prendere atto. E le dichiarazioni anticipate di trattamento non sono che una parvenza della volontà della persona, perché esse si esprimono in modo generale in relazione a situazioni eventuali. Mentre la volontà è specifica, circostanziata e concreta in una situazione patologica.
*Deputato del Pdl
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