Paulson: «Nel 2007 crescita del 3% America più forte col piano Bush»

da Milano

L’economia americana crescerà nel 2007 «intorno al 3%», dunque a «un ritmo più sostenibile» rispetto al precedente periodo di espansione «oltre la normale tendenza». Henry Paulson, segretario Usa al Tesoro, è fiducioso. E a corroborare l’ottimismo dell’uomo fortemente voluto da George W. Bush come successore del mai amato John Snow, è anche la proposta di bilancio per il 2008 presentata lunedì dalla Casa Bianca.
Un piano-monstre, da 2.900 miliardi di dollari, che - secondo Paulson - permetterà di «affrontare le sfide di lungo termine, come il rafforzamento del Social Security (il sistema previdenziale, i cui costi sono previsti in aumento dell’80%, ndr) e del Medicare (l’assistenza medica per gli anziani, ndr) per le prossime generazioni». Prioritario, per il responsabile del Tesoro, è rafforzare i due pilastri della previdenza prima che la generazione dei baby-bommer vada in pensione, così da garantire il proseguimento dello sviluppo economico.
Davanti alla commissione della Camera che si occupa della tassazione, Paulson ha inoltre difeso i tagli fiscali varati da Bush per uscire dalla recessione e ha poi ribadito di approvare la proposta tesa ad abbattere del 20% il consumo di benzina nei prossimi anni. «Potremo raggiungere questo obiettivo - ha spiegato il ministro - aumentando in modo notevole la fornitura e l’utilizzo di forme alternative di energia, e migliorando inoltre la sua efficienza attraverso la riforma del Cafe», ovvero del Corporate average fuel economy, l’insieme di standard che propone un taglio annuale di consumo di benzina di 8,5 miliardi di dollari entro il 2017.


Paulson è infine tornato ad affrontare il nodo Cina, sottolineando che gli Stati Uniti stanno esercitando ulteriori pressioni affinché Pechino riformi i mercati dei capitali, acceleri la rivalutazione dello yuan e spinga sul pedale dell’aumento della domanda interna. Quanto allo yen, secondo il segretario al Tesoro l’attuale debolezza è riconducibile alla fragilità dell’economia giapponese.

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