Un percorso a ostacoli per ritornare sulla scena politica

Passata l’euforia per la liberazione, sul futuro di Aung SanSuu Kyi peseranno due incognite: come si inserirà in un panorama dell’opposizione più diviso di come l’ha lasciato nel 2003, e soprattutto quanto sarà tollerata dai generali, anche alla luce del nuovo assetto istituzionale sorto dalle elezioni-farsa appena tenute.
Mentre ancora non è certo se la giunta abbia posto delle condizioni per il rilascio - il premio Nobel per la Pace aveva fatto capire che non le avrebbe accettate e ieri un responsabile birmano coperto dall’anonimato ha assicurato che i generali non hanno posto alcuna restrizione - i rapporti tra il simbolo della voglia birmana di democrazia e la dittatura militare al potere dal 1962 promettono di rimanere tesi. Suu Kyi, famosa per la sua indisponibilità al compromesso, per i generali rimane una minaccia. «Se dovesse concedersi bagni di folla, diventando un ponte tra la maggioranza birmana e i vari movimenti etnici armati, i generali potrebbero anche cercare di ucciderla», dice Maung Zarni, un ex attivista ora ricercatore per la London School of Economics.
Secondo Nyo Myint, un portavoce della Lega nazionale per la democrazia (Nld), il partito guidato da Suu Kyi, la donna terrà però un approccio più moderato. «Ha imparato la lezione - spiega - e intende promuovere la riconciliazione nazionale.
Non è il momento di peggiorare le relazioni». Ciò non significa, però, che il regime non possa trovare dei pretesti per escluderla dal panorama politico con nuovi arresti, se la riterrà un ostacolo: l’ha già fatto in passato.
Diversi analisti considerano la mossa dei generali un’abile trovata pubblicitaria, a dominio acquisito nel nuovo Parlamento uscito dal voto. Liberando Suu Kyi, è il ragionamento, la comunità internazionale si dimenticherà presto degli altri 2.200 prigionieri politici, e avrà meno da dire anche sulla transizione verso una Birmania «democratica» solo sulla carta.
È anche però un rischio, nel caso in cui una popolazione data per rassegnata dovesse risvegliarsi grazie alla speranza infusa da Suu Kyi.
Le elezioni hanno comunque creato una spaccatura nell’opposizione, divisa tra una vecchia guardia di irriducibili e nuove leve più pragmatiche. Parte del Nld, che nel voto del 1990 trionfò senza poter mai governare, ha fondato un altro partito (Ndf, Forza democratica nazionale) dopo il boicottaggio scelto da Suu Kyi, che tra l’altro è costato al Nld lo scioglimento forzato.

Insieme ad altri movimenti minori, l’Ndf ha ottenuto una piccola ma simbolica base del nuovo Parlamento.
I suoi leader hanno già detto che con Suu Kyi si può tornare a lavorare assieme. Ma non sarà automatico trovare un’intesa.

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