LA BOMBA ELLENICA Le paure americane

La bomba greca fa scattare l'allarme rosso alla Casa Bianca. È l'impressione che si ha parlando con Andrea Montanino, economista che nel 2012 ha lasciato Roma e si è trasferito a Washington per diventare direttore esecutivo per l'Italia del Fondo Monetario Internazionale. Nell'autunno scorso è stato poi chiamato dal think-thank americano Atlantic Council a ricoprire, sempre a Washington, l'incarico di direttore del Global Programme Business & Economics.

Dopo la vittoria del NO al referendum di Atene sull'accordo con i creditori, Obama è preoccupato del contagio?

«Il tema greco è stato tenuto, finora, sotto traccia dall'amministrazione americana che nei suoi radar di politica estera ha dato la priorità al terrorismo dell'Isis e alla Siria. Negli anni passati le vicende di Atene erano sempre state seguite dal Fondo Monetario Internazionale di cui gli Usa hanno la quota maggiore essendo anche l'unico Paese con diritto di veto. Quindi l'Fmi aveva una sorta di delega. Nelle ultime settimane, però, con l'escalation greca è cambiato tutto, sono state rese note le telefonate con Tsipras e la Merkel del segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Jack Lew, e dello stesso Obama. Segno che il livello di attenzione si è alzato notevolmente. E con esso la preoccupazione».

Eppure Atene è lontana da Washington. Perché è suonato il campanello di allarme?

«Gli Stati Uniti temono che si verifichi uno tsunami simile a quello scatenato dal crac di Lehman Brothers. Nel 2008 si poteva far fallire una banca, ora rischia di fallire uno Stato intero proprio quando la crescita dell'Europa è ancora fragile. Certo, la Bce ha fatto quello che la Federal Reserve fece sette anni fa, ma la vicenda greca potrebbe rallentare la crescita della Ue. E questo spaventa molti gli americani. Per due motivi principali: il primo è che la Casa Bianca ha bisogno di un alleato europeo che la sostenga nelle sanzioni contro la Russia di Putin. Il secondo motivo, assai più strategico, è che oggi il peso dell'economia americana sul Pil mondiale è di circa il 20% mentre cinquant'anni fa superava il 40 per cento. Gli Usa hanno dunque bisogno di un portatore d'acqua che li aiuti a colmare il gap di quel 20 per cento. Ovvero l'Europa. Se il partner predestinato non cresce, la missione si complica».

Con chi parla Obama se vuole avere notizie sui negoziati con Atene?

«Il principale interlocutore europeo degli Stati Uniti resta Angela Merkel anche perché, purtroppo, le istituzioni europee non hanno ancora una forza politica e una visibilità estera sufficienti. Non solo. La Germania viene vista forse come il Paese che più degli altri può ostacolare l'accordo con la Grecia. Soprattutto adesso che il referendum di Atene ha dato minor potere negoziale a Tsipras che deve mettere sul tavolo una proposta accettabile sia dal suo popolo sia dai creditori».

Nei giorni scorsi l'Fmi ha pubblicato un report che giustifica esattamente la posizione assunta dal premier greco. C'è stata una spaccatura con il resto della «Troika»?

«No. L'Fmi ha sempre avuto una posizione netta sulla ristrutturazione del debito, reiterata negli anni. Il Fondo fa una analisi di sostenibilità del debito in cui si fa in sostanza un esercizio matematico e si vede se un certo paese è capace di ripagare il suo debito. Il Fondo lo sa da anni che il debito greco non è sostenibile. Tutte le volte che usciva un'analisi o una review sulla Grecia, l'Fmi precisava di aver preso nota dell'impegno dei Paesi europei a risolvere la questione del debito. Ciò permetteva ai Paesi non europei, aderenti all'Fmi, di votare a favore del programma greco. Questa analisi è stata resa pubblica la scorsa settimana. Ora la ristrutturazione la devono fare gli europei».

La Casa Bianca ha acceso i radar sulla crisi greca. E il popolo americano?

«Nei giorni scorsi sono stato intervistato da Fox News , che è un canale tv molto popolare, e la Grecia era il tema

di apertura del notiziario. Vuol dire che è entrata nel dibattuto quotidiano. È chiaro, anche da qui, che c'è bisogno di più Europa. Speriamo che la crisi greca acceleri, invece di rallentare, il processo di integrazione».

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