P ensavano di averla scampata. Errore. Il centrosinistra, anche quello di marca renziana, va a fare compagnia al centrodestra piemontese nell'affollato parterre di Rimborsopoli. A sorpresa il gip dice no a una raffica di richieste di archiviazione e stabilisce l'imputazione coatta di almeno tre pezzi grossi della nomenklatura rossa torinese: il vicepresidente della giunta Aldo Reschigna, Pd, l'assessore con delega allo studio Monica Cerutti (Sel), il segretario renziano del Pd regionale, Davide Gariglio, oggi capogruppo dei democratici a Palazzo Lascaris. E ancora si avviano verso il processo Angelo Motta e il senatore Stefano Lepri del Pd (ex consigliere), infine Eleonora Artesio di Rifondazione. Per tutti l'accusa è di peculato. Gariglio voleva dimettersi da segretario, il partito piemontese lo ha confermato.
Dunque, va in pezzi il mito di una sinistra diversa e lontana da certe pratiche disinvolte, per non dire illegali. Soprattutto dopo che il governatore si era scagliato contro i tagli alle Regioni, accusando il premier Renzi di offendere quando parlava di sprechi. Certo, un'imputazione coatta non è una condanna ma l'imbarazzo è palpapile, anche nelle parole del governatore Sergio Chiamparino: «Confermo loro piena fiducia. Non ho alcun dubbio sulla loro onestà e sul loro grande senso di responsabilità». Insomma, l'indagine almeno per il momento non azzopperà la giunta e le dimissioni dei due sono respinte. Certo, la mossa si configura come una capriola rispetto alle affermazioni precedenti, ma si sa in politica mai dire mai e Chiamparino ingoia il boccone amaro, attaccandosi alle forme e al codice: «Quando decidemmo di non avere rinviati a giudizio nelle liste era per opportunità politica. Oggi Reschigna e Cerutti non sono rinviati a giudizio. Non ci sono motivi quindi per cui lascino gli incarichi proprio per le stesse ragioni di opportunità politica».
Tecnicamente Chiamparino ha ragione. Con l'imputazione coatta le carte tornano al pm che è costretto dal giudice a chiedere il rinvio a giudizio e dunque il processo contro i politici. Ora siamo in un fase precedente, ma il succo della storia è chiaro: la procura voleva chiudere il caso, il gip impone il processo anche per l'ala sinistra di Palazzo Lascaris. Non tutta in verità, perché altri nomi eccellenti della politica locale, fra cui l'ex presidente della Regione Mercedes Bresso, escono di scena senza alcuna contestazione. In compenso l'imputazione coatta colpisce quattro consiglieri del centrodestra: Fabrizio Comba, Giampiero Leo, Gianluca Vignale e Luca Pedrale. Anche per loro si profila all'orizzonte il rinvio a giudizio e il dibattimento.
E tutto questo accade alla vigilia dell'apertura del processo contro l'ex governatore leghista Roberto Cota e altri 24 consiglieri regionali. I boxer verdi di Cota, acquistati in America e finiti sulle spalle del contribuente, sono diventati un sinonimo della costosa disinvoltura della classe dirigente. Ora il gip ironizza con i consiglieri del centrosinistra fino a ieri immacolati: le «esigenze alimentari» non dovrebbero rientrare nel calderone dei costi. E invece è stato tutto un susseguirsi di colazioni e pranzi, caffè, spuntini e cenoni di Natale.
Il colpo per chi si vorrebbe accreditare come il nuovo che avanza, è duro. E le lacrime di Monica Cerutti sono la spia del disagio generale. «Sto vivendo un momento molto difficile - afferma l'assessore - perché vengono messe in dubbio correttezza e onestà».
In verità quando Cota aveva provato a spiegare che lo scontrino dei famigerati boxer, 40 euro, era stato rimborsato per sbaglio, a sinistra avevano sghignazzato. Ridicolizzando il governatore ormai delegittimato. Ora le parti si invertono.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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