«E io come il poeta ti portai al fiume...»

Pubblichiamo alcune delle molte lettere d'amore giunte in redazione. Continuate a scrivere a letteredamore@ilgiornale.it

Auguri, amica mia carissima. Fidata compagna delle mie notti insonni. Unica luce nelle tenebre della mia mente stanca. Son dieci anni ormai che la tua presenza illumina la mia esistenza. Ho bene in mente il giorno in cui ci siamo incontrati. In quel grande magazzino, tu eri in compagnia di amiche tue. Ho subito notato le tue sinuosità morbide e sensuali. Ti ho portata a casa mia, e da allora non ci siamo più lasciati. I tuoi occhi lucenti hanno impreziosito le mie povere cose. I tuoi bagliori hanno riempito di ombre amiche, la mia solitudine. Auguri... lampadina!!!

Giovanni Belletti

Tu, amore,7 Tu puoi essere tante cose./ Il sorriso di oggi,/ il rimpianto di ieri (o tutto il contrario),/ il sogno e la paura di domani,/ l'oblio ed il ricordo incessante./ Tu puoi essere tante cose./ La gioia, il dolore/ l'indifferenza/ e quant'altro si dibatte nell'anima./ Tu puoi essere tante cose./ La vita, la morte,/ lo scorrere del tempo/ ed il suo fermarsi improvviso,/ come un'ape che si posa sul fiore/ per prendere respiro./ Tu puoi essere tante cose./ Sole, luna,/ la metalinea dell'orizzonte e del mare/ che si toccano col cielo,/ onda rabbiosa e vento impazzito./ Tu puoi essere tante cose./ Un bocciolo sfogliato per terra,/ un gambo reciso per nulla,/ un giardino segreto/ violato soltanto dal tempo./ Per questo, tu puoi essere/ un attimo fortuito, perduto, ritrovato,/ un ciclo rotante e un contrattempo,/ un'antica fatalità che, nella mia vita,/ a tratti ancora ritorna,/ un'orma cancellata e calpestata,/ una moneta donata/ o costretta nel pugno,/ un fazzoletto perduto di mano,/ una foglia strappata dal vento,/ una goccia aspersa,/ un soffio un alito,/ un brandello dell'ultimo sogno,/ un ultimo sogno a brandelli./ E puoi essere nulla./ E puoi essere destino./ Senza mai saperlo.

«E io me la portai al fiume/ credendo che fosse ragazza,/ invece aveva marito».

Versi di una poesia probabilmente resa più famosa quando venne declamata da Vittorio Gassman nel film cult Il sorpasso . Versi che però bene si addicono a quando, correvano gli anni '60, davvero ti portai al fiume. D'altra parte non poteva essere diversamente, vivendo in una città, Teramo, che anticamente si chiamava Interamania Urbs, ovvero città fra due fiumi, Tordino e Vezzola. Non ricordo perché salisti sulla mia «500», ricordo però che arrivammo in meno di tre minuti al ponte a catena. Una zona riparata dai canneti (classici nel film di Peppone e don Camillo) dove davvero gli unici rumori arrivavano dal frinire delle cicale. Parlammo e a un certo punto ti chiesi «ma porti il rossetto?». E tu con candida lucidità rispondesti «perché non te ne accerti?». Il bacio, rigorosamente con la lingua, fu lungo, o almeno così ci parve. Ripetuto quante volte non so, ma ogni volta era come se fosse il primo. Muti ma abbracciati in un groviglio di camicette che venivano sbottonate e reggicalze sganciati dai bottoncini neri. Di più uno dell'altro non si sapeva. Perché chiedere? Perché rovinare l'atmosfera? Inutile ricordare il tuo nome (vivi ancora in questa città), inutile aggiungere altri particolari. Però quando ti chinasti su di me sussurrando «se non faccio così ti perdo», in quel momento fu estasi, profonda, lunga, indimenticabile, ancora oggi e di anni ne sono trascorsi tanti, almeno 40. Il momento d'amore venne sconvolto da un sussurro che in verità ebbe il sapore di una coltellata al ventre: «riportami al parcheggio dell'ospedale, devo riprendere la mia macchina per andare a fare la spesa, mio marito aspetta che torno per cena». Salivazione azzerata, come prima dell'orale agli esami di Stato, non pronunciai parola, dal ponte a catena all'ospedale. Non scesi dalla «500», tu invece ti curvasti verso di me e mi dicesti: «so che mi cercherai». Non l'ho più fatto. Ho sbagliato? Ho fatto bene? Però quei versi citati all'inizio che risuonano in tv non fanno altro che accrescere il mio rimpianto. Ma questa è un'altra storia.

Gustavo Bruno

Il tuo corpo un fascio di luce: un fascio di luce

sul mio letto./ Il tuo corpo crea il buio intorno anche se è acceso il lume,/ e sparisce la stanza e i contorni delle cose usate./ Come è calda la tua pelle!/ Arde come la buona fiamma che brucia senza farmi male.

Beatrice

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