Da lui è partito tutto. Da Luigi Marroni, l'amministratore delegato della Consip, il grande accusatore, chiamato dall'ex premier Matteo Renzi nel giugno del 2015 a guidare la prima stazione appaltante d'Italia. Qualcuno lo avvertì che i magistrati stavano indagando sugli appalti della centrale acquisti della pubblica amministrazione e lui si affrettò a togliere le cimici dagli uffici. Poi ha raccontato di aver saputo in quattro diverse occasioni di essere intercettato e la Procura di Roma ha aperto un fascicolo sulla clamorosa fuga di notizie che di fatto ha rallentato parecchio l'inchiesta sugli appalti Consip, quella che ha fatto finire in carcere l'imprenditore napoletano Alfredo Romeo e nei guai Tiziano Renzi, accusato di traffico di influenze.
Ieri Marroni è stato convocato dal procuratore aggiunto Paolo Ielo per essere ascoltato come persona informata sui fatti e l'interrogatorio si è protratto per oltre cinque ore, fino a tarda sera. La sua è stata una testimonianza cruciale per capire perché l'inchiesta Consip fosse diventata oggetto di conversazione nelle stanze della presidenza del Consiglio dei ministri. I magistrati hanno fretta di chiudere questa tranche dell'indagine sulla gola profonda che ha spifferato del fascicolo aperto sulla Consip e che ha portato gli investigatori a stringere il cerchio sui carabinieri del Noe, ai quali il pm John Henry Woodcock (che indaga in parallelo con Roma ma su altri reati) aveva affidato gli accertamenti prima che in pm romani gli ritirassero la delega, proprio per le continue fughe di notizie, e accusassero di falso il capitano Giampaolo Scafarto per aver manomesso un'informativa e di depistaggio il vicecomandante del Noe Alessandro Sessa. Marroni aveva già fatto dichiarazioni spontanee a dicembre, poi era stato ascoltato dai pm di Napoli come testimone, dunque con l'obbligo di dire la verità, e aveva raccontato di aver disposto la bonifica del suo ufficio dopo essere stato messo in guardia da Filippo Vannoni, presidente della municipalizzata delle acque di Firenze e amico di Renzi, dal generale Emanuele Saltalamacchia, comandante dei carabinieri della Toscana, dal presidente di Consip Luigi Ferrara e dal ministro dello Sport Luca Lotti.
Ielo sta cercando di ricostruire tutti i passaggi per capire come le informazioni sull'inchiesta siano uscite dal Noe e arrivate a Marroni. L'ultimo atto è stato quello di sequestrare i telefoni di Sessa per passare al setaccio le chat e recuperare quelle eventualmente cancellate. L'alto ufficiale è accusato di aver mentito ai pm durante l'audizione come teste: ha raccontato di non aver parlato con nessuno, neanche con i suoi superiori, come il generale Sergio Pascali, dell'indagine Consip, prima del 6 novembre 2016, mentre dai messaggi WhatsApp recuperati dal cellulare di Scafarto risulta il contrario: «Signor colonnello - scriveva il capitano al numero due del Noe il 9 agosto - sono due giorni che io penso continuamente a queste intercettazioni e alla possibilità di portare avanti queste indagini con serenità.
Credo sia stato un errore parlare di tutto con il capo attuale e continuare a farlo. La situazione potrebbe precipitare con la fuga di notizie che potrebbe farvi passare un brutto quarto d'ora». Ma chi era il «capo attuale» di cui parlava e cosa sapeva?
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