RomaUn mea culpa un po' farlocco, limitato solo al metodo, come faceva il vecchio Pci quando si autoassolveva dalle sconfitte elettorali con un «non ci siamo fatti capire». Poi un'apertura al governo che sa tanto di trappola, nella quale sono caduti Sel e la sinistra Pd (non Matteo Renzi). E che, comunque, è durata meno di una giornata. Beppe Grillo ha scelto il C orriere della Sera per una delle sue rarissime interviste, con l'obiettivo di lanciare al premier Matteo Renzi due messaggi distensivi. «Siamo pronti al dialogo con tutti, anche con il Pd, sul reddito di cittadinanza e la riforma della Rai».
Per quanto riguarda il primo, la proposta del Movimento 5 Stelle è un sussidio di disoccupazione allargato. «È destinato a chi perde il lavoro, a chi non lo raggiunge. Sono 780 euro al mese, ma varia a seconda del numero dei componenti familiari» e «chi ne usufruisce segue un percorso con lo Stato. Gli si offrono due-tre lavori, se non li accetta, perde il reddito». Costo, intorno ai 15 miliardi, da pagare secondo il leader del M5S con tagli alle spese per gli armamenti, dal gioco d'azzardo e da una patrimoniale. Fino all'uno per cento da chi ha «2-3 milioni di reddito».
Sulla Rai, la proposta resta quella dei pentastellati: «Cambiare i meccanismi di nomina del consiglio di amministrazione, per renderlo finalmente indipendente dal potere politico e governativo».
Entusiasta la sinistra-sinistra. «Vogliamo la Rai dei cittadini e non dei partiti o del governo? Vogliamo come in tutta Europa il reddito minimo che può essere una delle risposte contro la povertà e contro i ricatti? In Parlamento c'è una maggioranza possibile. Facciamolo», ha commentato Nichi Vendola via Twitter.
Nella maggioranza Pd solo il renziano Michele Anzaldi ha aperto a Grillo. «Il sogno dei partiti fuori dalla Rai sempre più a portata di mano», ha spiegato il segretario della Vigilanza Rai. Soddisfatti i firmatari Pd e Sel, come Vincenzo Vita e Pippo Civati, che hanno depositato una proposta non incompatibile.
Molto più cauto il capogruppo alla Camera Roberto Speranza. «Se le parole di Grillo non sono mera propaganda, pronti a confrontarci nel merito delle questioni. Senza pregiudizi». Freddezza che ha fatto subito tornare Grillo sulle posizioni di partenza: «Il M5S ha sempre accolto suggerimenti e miglioramenti sulle proprie proposte in Parlamento, che però è stato espropriato dal governo Renzie della sua centralità con una raffica di decreti legge. Confidiamo in un dibattito parlamentare pubblico e aperto. Forse è il Pd che deve cambiare rotta, dritto verso la democrazia».
Scatto d'orgoglio che sembra quasi avere rassicurato il Pd governativo. «Come volevasi dimostrare: Grillo scende dal tetto e poi ci risale immediatamente. D'altra parte in questi mesi ci ha abituati a cambi di linea così repentini da generare sospetti», ha commentato il vicesegretario Lorenzo Guerini.
Disinnescata la bomba di un M5S di governo (ipotesi che non sarebbe dispiaciuta a molti simpatizzanti, come emergeva ieri dai commenti al blog del leader), l'unica notizia di giornata, per quanto riguarda il movimento, è il fatto che Grillo ha quasi rinnegato i vaffa day. «Le piazze non funzionano più. Resteremo sotto il palco e staremo con la gente».
Quanto al divieto di andare in tv, Grillo dice di preferire sempre la rete ma, afferma, «capisco che ci sia una fetta di elettorato che si informa con i canali tradizionali. Può essere che abbia sbagliato io». Tradotto: io sono nel giusto, sono gli altri che capiscono male. Scuola Frattocchie.
di Antonio Signorini
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