«Guerra, non genocidio» La Corte Onu riscrive l'odio tra serbi e croati

Respinta la tesi di Zagabria: «A Vukovar crimini militari ma non ci fu la volontà di sterminare un intero popolo»

La lenta e cavillosa giustizia internazionale ha sancito che la Serbia non si è macchiata di genocidio nel sanguinoso crollo della Jugoslavia. Peccato che la sentenza sia arrivata 24 anni dopo i fatti, come l'assedio di Vukovar, la Stalingrado croata. E che i serbi siano stati demonizzati, fin dall'inizio, come un popolo colpevole di genocidio. Un'onta che li ha messi nell'angolo oltre a provocare l'attacco della Nato del 1999 per il Kosovo. Per anni i serbi sono stati considerarli dei paria a livello internazionale con tutte le porte sbarrate a cominciare dall'accesso all'Unione Europea. A differenza dei «cugini» croati, che sono gli ultimi arrivati nella Ue.

La sentenza a scoppio ritardato non significa che le truppe serbe fossero composte da angioletti. I soldati e le milizie di Belgrado hanno massacrato, ma lo stesso è stato fatto dai croati, come ha stabilito la sentenza di ieri. Sia Croazia, che Serbia, però, non sono responsabili di genocidio.

Per un crimine così grave «è necessario il proposito deliberato di eliminare un determinato gruppo etnico, sul piano fisico» ha stabilito la Corte internazionale di Giustizia dell'Onu. I giudici usando un terribile bilancino hanno ravvisato che non ci sono prove per dimostrare che i serbi avevano lo specifico obiettivo non solo di «trasferire altrove con la forza» la popolazione di etnia croata nelle zone occupate, ma di «distruggerla in tutto o in parte».

Zagabria aveva denunciato la Serbia per genocidio nel 1999 prendendo come esempio Vukovar. All'inizio del tragico collasso dell'ex Jugoslavia la città venne ridotta ad un cumulo di macerie dall'assedio serbo. Una volta conquistata 260 soldati croati prigionieri e feriti furono passati per le armi. Un crimine di guerra, ma non si trattò di genocidio.

Belgrado ha reagito all'accusa denunciando, a sua volta, Zagabria di genocidio. I giudici del tribunale con sede all'Aja hanno respinto questa tesi, ma sottolineato che pure i croati, appoggiati dagli Usa, si sono macchiati di crimini contro la popolazione serba della Krajina, l'entroterra dalmata. Nel 1995 scatenando l'operazione Tempesta passarono per le armi non pochi civili e costrinsero alla fuga 200mila serbi.

Non a caso il presidente serbo, Tomislav Nikolic, canta vittoria da Belgrado: «Da parte delle più alte istituzioni giudiziarie dell'Onu è stato confermato che sono stati commessi crimini di massa contro i serbi di Croazia». Da Zagabria il primo ministro croato, Zoran Milanovic, si è detto «scontento della decisione della corte, ma la dobbiamo accettare». Per la cronaca 15 giudici contro due hanno «assolto» la Serbia dal macigno dell'accusa di genocidio. Non essendo previsto l'appello gli indennizzi miliardari, che si profilavano all'orizzonte, sono finiti in fumo.

Per i serbi è una rivincita storica e morale dopo essere stati considerati per oltre 20 anni gli unici «cattivi» dei Balcani. I leader sconfitti della «Grande Serbia» sono ancora in galera all'Aja come Radovan Karadzic, accusato di crimini di guerra in Bosnia. Slobodan Milosevic, lo zar rosso di Belgrado, è morto di infarto dietro le sbarre. Vojislav Seselj, il «duce» degli ultranazionalisti cetnici, è in libertà provvisoria da novembre per motivi di salute, dopo 12 anni di detenzione all'Aja.

Il 27 gennaio il vescovo estremista Filaret lo ha insignito di una delle più alte onorificenze della chiesa ortodossa «per avere sconfitto il tribunale internazionale sull'ex Jugoslavia» sollevando polemiche anche a Belgrado.

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