I magistrati allo sbando e quella profezia di Greco

Il procuratore: «Ai democratici riuscirà la riforma che la destra non ha fatto» Ma i pm non si piegheranno facilmente. E le ultime inchieste ne sono la prova

«N on parlo di politica», dice oggi Francesco Greco, procuratore aggiunto della Repubblica, se gli si chiede di ritornare sulla sua profezia di diciassette anni fa, quando disse che sarebbe stata la sinistra a fare ai giudici ciò che la destra non aveva saputo fare. Che le cose stiano andando esattamente come aveva previsto, non lo rallegra. Semmai lo stupisce il ritardo con cui il «primato della politica» (per usare una espressione cara a Massimo D'Alema) sta riprendendo il sopravvento. Ma d'altronde per un pezzo c'è stata da fare la crociata a Berlusconi che ha reso intoccabili i magistrati, e ne sanno qualcosa Giovanni Maria Flick e Clemente Mastella, ministri ulivisti della Giustizia, che dai tentativi di caute riforme uscirono con le ossa rotte. Ne sa qualcosa D'Alema, che per essersi seduto al tavolo con Berlusconi si prese sui denti un'intervista di Gherardo Colombo in cui il pm milanese accusava la Bicamerale di essere «figlia del ricatto», e la Bicamerale finì lì; e ne sa qualcosa, giova ricordarlo, anche Giorgio Napolitano, allora ministro dell'Interno del governo Prodi, che all'indomani dell'intervista di Colombo se ne buscò un'altra di Ilda Boccassini che lo accusava di impedire la lotta alla mafia portando a compimento i progetti della destra, e lo paragonava nientemeno che a Antonino Meli, il magistrato palermitano che aveva smantellato il pool di Falcone. Il ministro Flick mise Colombo e la Boccassini sotto procedimento disciplinare: «E naturalmente - ricorda oggi Flick - il procedimento finì in niente. D'altronde proprio sulla riforma del sistema disciplinare le mie riforme avevano incontrato l'opposizione più decisa da parte dell'Associazione magistrati».

La sinistra capì l'antifona, e la riforma della giustizia si inabissò insieme alla Bicamerale. Ora sono passati diciassette anni, e sono stati gli anni della supplenza in toga, dei ribaltoni per via giudiziaria. Ma ora che la pratica di Silvio Berlusconi nelle aule di tribunale è arrivata a compimento - condanna definitiva, espulsione dal Parlamento, eccetera - né la sinistra né il popolo si mostrano riconoscenti verso i magistrati. Anzi, paradossalmente: le avvisaglie dello scontro finale arrivano mentre l'ex grande nemico Berlusconi è quasi sparito dalla ribalta della polemica con i giudici, come se la condanna per i diritti tv appartenesse a un altra era (ed è invece di appena un anno fa!), e la nuova quotidianità del Cavaliere fosse fatta solo di assoluzioni per il caso Ruby, dialoghi con i vecchietti, divorzi meno onerosi. Da mesi, da Arcore, non viene una sola parola contro i magistrati. Tra un mese, d'altronde, il giudice Beatrice Crosti esaminerà la richiesta del Cavaliere di uno sconto di pena che avvicinerebbe a portata di mano anche la fine della corvée a Cesano Boscone: e quindi una certa inclinazione dell'ex premier a tenere basso il profilo della polemica è comprensibile. Ma solo Silvio Berlusconi sa quanta ammirazione e forse invidia suscitino nel chiuso del suo animo le mosse di Renzi sul fronte della giustizia: anche in questo campo vale ciò che il Cavaliere ama dire del presidente del Consiglio, «è come me, ma più cattivo».

Lui, Renzi, sembra viaggiare spedito per la sua strada, e c'è da sperare per lui che abbia chiara in mente la determinatezza dell'avversario. Ha scelto un bersaglio-feticcio, le ferie spropositate dei magistrati, intuendo che su quello era facile creare consenso, ben sapendo che è una battaglia più simbolica che sostanziale; ma intanto ha messo a segno senza grandi clamori un colpo ben più concreto, estromettendo dagli alti gradi della magistratura non solo i settantenni ma anche di fatto gli over 66, e aprendo così la guida degli uffici giudiziari a una nuova generazione di capi, che anche a lui dovranno gli avanzamenti di carriera. È una mossa con effetti diabolici: tanto per dare un esempio, impedirà per una manciata di giorni a Ilda Boccassini di candidarsi alla Procura di Milano quando, alla fine del prossimo anno, la carica verrà lasciata libera dal suo attuale titolare, Edmondo Bruti Liberati. E insieme alla Boccassini viene avviata senza riguardi a fine carriera una intera generazione di toghe che oggi sono il cuore pensante della magistratura italiana, e che verranno inghiottite da un gigantesco spoil system . Sono gli uomini e le donne che oggi guidano le procure, i tribunali, le correnti, e che Renzi ha bruscamente rottamato. La reazione è il borbottio che anima le mailing list delle correnti, e dal quale a volte si leva una voce più alta: ma la magistratura italiana è priva di un leader mediatico carismatico, una faccia in grado di rivolgersi al paese come furono in modi radicalmente diversi Borrelli e Di Pietro; la recente, catastrofica parabola di Antonio Ingroia è sintomatica della fine di questa stagione; e la pubblica violenza delle faide interne alla Procura di Milano, totalmente incomprensibili all'uomo della strada, ha compiuto il disastro.

Come andrà a finire lo scontro tra Renzi e i giudici non si sa, e ogni giorno, o quasi, avrà la sua puntata.

Non sarà un pranzo di gala, e se le avvisaglie di queste settimane - con gli avvisi di garanzia che piovono sui compagni, gli alleati e persino i parenti del premier - manterranno ciò che promettono, i magistrati non si lasceranno sfrattare senza combattere. Qualunque sia l'esito, una cosa è certa: nulla sarà più come prima. Perché, come dice il giudice Palmieri, ormai «la gente di noi se ne stracatafotte».

(2. Fine)

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