Incubo commissariamento se non si fanno le riforme

Il vicepresidente Ue Katainen ha messo l'Italia nel mirino ma Taddei (Pd) giura che l'Italia non corre nessun rischio

Incubo commissariamento se non si fanno le riforme

«L'Italia non corre alcun rischio di commissariamento, che non è nemmeno un provvedimento previsto dai trattati», dice al Giornale Filippo Taddei, responsabile economico del Pd e consigliere di Renzi. «Semmai si tratta di un momento di normale dialettica in corso con i commissari europei». Che, essendo appena nominati ma non ancora insediati, stanno prendendo le misure con l'esecutivo italiano.

Di sicuro dall'Ecofin di Milano si esce con posizioni immutate: l'Europa ci chiede le riforme e noi le promettiamo. «L'Italia ha un'agenda di riforme molto ambiziosa», ha detto ieri il commissario agli Affari economici Jyrki Katainen, falco finlandese, filo Merkel, che nella nuova Commissione avrà ancora più peso. Ma «se tutte le cose che ha in programma di fare verranno implementate posso immaginare che l'economia avrà un forte impulso reale». Il gioco sta tutto qui, tanto che Pier Carlo Padoan, ministro dell'Economia, ha detto che «c'è l'urgenza di accelerare le riforme il più possibile». E, ben sapendo che senza una seria ripresa non si andrà da nessuna parte, è tornato a chiedere all'Europa (leggi Bce) «nuovi strumenti per finanziare la crescita». Con questi la legge di Stabilità potrà essere scritta «confermando i tagli di tasse che abbiamo già introdotto». Ma c'è il rischio che la «governance comune» della nuova Commissione preveda il controllo europeo delle riforme. E Padoan la prende bene: «È uno strumento utile perché è un controllo reciproco dei Paesi tra pari che si scambiano esperienze, non è solo un elemento di disciplina, ma anche di apprendimento». Affermazione che poteva anche apparire un invito alla Troika (Ue, Bce, Fmi) ad accomodarsi a Palazzo Chigi. Ma non è così, garantiscono a Roma.

Il punto è che a tre anni dalla lettera della Bce, che segnò il punto di non ritorno del governo Berlusconi, il terrore di qualcosa del genere resta vivo. Rispetto ad allora - a parte lo spread tornato a livelli precrisi grazie alle politiche monetarie della Bce - i fondamentali dell'economia sono ancora peggiori: il Pil è negativo, la disoccupazione è record, il debito è aumentato e per di più l'inflazione zero rende l'avanzo primario insufficiente a sostenere gli oneri sul debito pubblico e pesa sul rapporto deficit/Pil. Per questo l'ipotesi di un richiamo europeo non è così campata per aria. Chiamiamolo o meno «commissariamento», parola combattuta nel governo Renzi come la peste bubbonica, ma il senso non cambia: va capito se i conti pubblici sono così messi male da meritare un rimprovero ufficiale e istituzionale, oppure se non siamo a questo punto. Ebbene, dice ancora Taddei, «la probabilità, tecnica o politica, che stiano per essere scritte lettere di quel tenore è pari a zero». A condizione che tutti, Italia, Commissione e Bce, facciano la loro parte. Sembra confermarlo il presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, sempre dall'Ecofin: «Tutti abbiamo impegni scritti, che si chiamano patto di Stabilità». Ma «nessun nuovo impegno scritto» è stato chiesto all'Italia. Mentre Katainen ci tiene ben più sulle spine: «No, non abbiamo ancora valutato la situazione dell'Italia», risponde alla domanda se sia vero che l'Europa abbia chiesto nuovi impegni scritti al Paese.

Un po' è il gioco delle parti. Ma è chiaro che il governo non potrà contare molto a lungo sul credito europeo rispetto alle riforme strutturali e sulla volontà di Draghi di fare la sua parte. Il tempo a disposizione sta per scadere.

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