I l primo round del tanto atteso confronto tra Matteo Salvini e l'Unione Europea sui temi dell'immigrazione termina ancor prima d'iniziare. Al vertice dei ministri dell'Interno, previsto quest'oggi in Lussemburgo, il neo ministro ha già annunciato una sedia vuota, la sua. «Io non ci sarò ha spiegato - perché c'è la fiducia al governo, ma ci sarà la nostra delegazione per dire no l'Europa qualche mese fa ci ha promesso aiuto, su immigrazione e asilo politico, ma, invece, il documento in discussione domani penalizzerebbe l'Italia e altri Paesi mediterranei a favore dei Paesi del Nord e dell'Est Europa»».
Nei fatti è tutto vero. Salvini sarà un assente giustificato perché è atteso al Senato per votare la fiducia ad un governo Lega 5-Stelle che in quell'emiciclo ha i voti seriamente contati. E anche dal punto di vista sostanziale la sua assenza non sarà molto rilevante. Fin qui gli sherpa dei ministri europei non sono riusciti a trovare un'intesa capace di garantire una modifica di quei punti del Trattato di Dublino considerati delle autentiche regole capestro per il nostro paese. Parliamo, ovviamente, della clausola che prevede la permanenza dei migranti nel primo paese di accoglienza senza alcuna possibilità di ricollocazione in altri paesi europei. Ad oggi la ferma opposizione del blocco di Visegrad (Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia), contrarissimi a qualsiasi accordo di condivisione dei migranti, ha reso impossibile una riforma di Dublino in grado di soddisfare le legittime aspettative dell'Italia. «Dum spiro spero, finché c'è vita c'è speranza» - ripeteva ieri il portavoce capo della Commissione Europea Margaritis Schinas facendo però capire che l'obiettivo di completare la riforma prima della fine della presidenza bulgara, ovvero entro il Consiglio Europeo di fine giugno, appare seriamente compromessa. Ma proprio la contrarietà alla riforma di Dublino da parte di quei paesi di Visegrad che Salvini ha spesso presentato come modelli d'opposizione al sistema di accoglienza europea rende politicamente vistosa la sua assenza dal vertice del Lussemburgo. La contraddizione di Visegrad diventa dunque un ottima freccia nell'arco di chi rimprovera al nostro ministro dell'Interno una vocalità esasperata rispetto alla complessità dei nodi da risolvere. Del resto il voto contrario dell'Italia non basterebbe neppure a bloccare la riforma del trattato perché - come spiega Schinas «sulla riforma del sistema di Dublino, o sistema comune di asilo, sotto il profilo giuridico c'è la possibilità di un voto a maggioranza qualificata, ma l'opzione preferibile per noi sarebbe di arrivare a una decisione basata sul consenso». Dunque il «no» dell'Italia non servirebbe a nulla e il nostro paese si ritroverebbe ancora una volta a subire clausole svantaggiose in quel settore dell'immigrazione dove la Lega e Salvini si giocano la loro credibilità.
Ma un'incapacità di influire sulle trattative e un faccia a faccia troppo serrato con gli altri paesi membri rischia di pregiudicare anche altri importanti accordi indispensabili per garantire - ad esempio - il rimpatrio degli irregolari. Da questo punto di vista solo l'Ue possiede le leve indispensabili per mettere molti paesi africani di fronte al fatto compiuto costringendoli a scegliere tra il rimpatrio dei propri cittadini e il taglio di importanti fette di aiuti economici.
Ma per ottenere delle intese sui rimpatri trattate e garantite da Bruxelles l'Italia deve riuscire ad avere voce in capitolo ai vertici europei e, allo stesso tempo, essere percepita non solo come un interlocutore duro e ostinato, ma anche presente e dialogante. Per questo un «no» preventivo - associato all'assenza inevitabilmente vistosa di uno dei due dioscuri del nuovo esecutivo italiano - rischia di rivelarsi una partenza con il piede sbagliato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.