Pietrasanta si affida a Mallegni Risorto dopo l'arresto ingiusto

Nel 2006 fece 39 giorni di galera: era accusato di gravi reati dall'attuale capo giuridico di Palazzo Chigi, Antonella Manzione. Che adesso non risponde nemmeno al telefono

Pietrasanta si affida a Mallegni Risorto dopo l'arresto ingiusto

Pronto, Palazzo Chigi? Si può parlare con Antonella Manzione? «È in riunione. Per cos'era?» Volevamo chiederle dell'elezione del sindaco di Pietrasanta. «Lascio la chiamata». Strano ma vero: Antonella Manzione, capo dell'ufficio giuridico e legislativo della Presidenza del consiglio dei ministri, fino a ieri sera non si rifà viva. Ed è un peccato, perché discutere con la giovane e brillante consulente legale di Matteo Renzi sulle elezioni a Pietrasanta avrebbe offerto spunti interessanti sul rapporto tra giustizia e giustizialismo, politica, legalità, affari di famiglia, processi inventati e quant'altro. Perché a divenire, anzi tornare sindaco della cittadina versiliana è l'uomo che la Manzione fece finire in galera accusandolo di colpe di ogni genere, quando lei - agli albori di una carriera folgorante - comandava i vigili del posto. Massimo Mallegni venne investito da ondate successive di accuse una peggiore dell'altra: si cominciò con l'uso improprio dell'auto di servizio, per passare all'estorsione, al peculato, all'associazione a delinquere. Nel gennaio 2006, al culmine dell' escalation , Mallegni viene arrestato insieme a suo padre e a metà del suo staff su richiesta del pubblico ministero Domenico Manzione: non si tratta di un caso di omonima: il pm Domenico è il fratello di Antonella comandante dei vigili. Strano? «Straordinario, oserei dire», commenta oggi Mallegni. Resta in galera trentanove giorni. «Mi arrivarono 755 lettere, anche di gente che non avevo mai visto, e che esprimevano la certezza della mia innocenza. Risposi a tutti uno per uno».

Facevano bene, i versiliani, a non credere alla colpevolezza di Mallegni. Perché uno dopo l'altro, arrivati davanti ai tribunali, i processi si sono sgonfiati come soufflè . Una assoluzione dopo l'altra. Mallegni ha aspettato che tutto andasse a sentenza lontano dalla politica, mandando avanti il suo albergo. «Durante tutti questi anni, mi sono sentito circondato non solo dalla stima, ma quasi dall'amore. Perché Pietrasanta è piccola, e di ciascuno si conosce com'è, e di cosa vive». Da domenica sera, Massimo Mallegni è di nuovo sindaco, un plebiscito a ridosso del 60 per cento e la telefonata di auguri di Berlusconi. E fin qua sarebbe una storia dolorosa ma a suo modo edificante, di giustizia che trionfa, di fiducia nel prossimo e di politica che prende il sopravvento.

Tutto bene, se non fosse per quel dettaglio che rende la storia quasi inverosimile: perché mentre il travaglio giudiziario di Mallegni andava avanti, i suoi accusatori entravano in rampa di lancio, avvinghiati dalla passione politica, entrambi nel segno di Matteo Renzi. Il primo a fare il gran salto è il Manzione pubblico ministero, Domenico, che nel 2013 entra nella squadra di governo: il presidente del Consiglio è Enrico Letta, ma a designare il pm è Renzi. Nel frattempo anche la sorella è in ascesa, da capo della sparuta polizia locale di Pietrasanta ha fatto un upgrade mostruoso, capo dei vigili urbani di Firenze per volere del sindaco, ovvero sempre di Renzi. E quando Renzi diventa presidente del consiglio, tra lo stupore generale, se la porta a Roma, in una delle posizioni cruciali dello staff di governo, capo degli affari giuridici.

La Corte dei conti scrive che la Manzione non ha i titoli ma Renzi se ne infischia: sarà per l'acume dimostrato nell'indagine su Mallegni.

Ma lei, sindaco Mallegni, si è mai spiegato perché la Manzione ce l'ha su con lei? «Bisognerebbe chiederlo a lei».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica