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Renzi teme i suoi cecchini: troviamo il nome insieme

«Serve un arbitro rigoroso, non una bandierina». Il premier prova a disarmare i franchi tiratori e propone al Pd di individuare il candidato al Colle il 28 gennaio

Niente nomi o identikit per il Colle, com'è ovvio visto che mancano ancora due settimane. Ma una novità Matteo Renzi l'ha messa ieri sul piatto della Direzione Pd, riunita ieri per aprire le danze sul Quirinale: il 28 gennaio, ossia un giorno prima dell'inizio delle votazioni, il Pd farà il suo nome per il Colle: «Nelle 24 ore precedenti si deve arrivare a formalizzare la proposta del Pd, riunendo i gruppi e i grandi elettori», annuncia. Il che vuol dire che il premier non esclude di poter trovare una candidatura tanto forte e condivisibile («un arbitro rigoroso, non una bandierina da appuntare», dice) da poter essere proposta già nei primi scrutini, quelli con il quorum dei due terzi.

Se il jolly lo abbia già in testa o se stia bluffando non è dato saperlo: per il momento Renzi, tattico di notevole perizia, sta disorientando tutti i suoi interlocutori con proposte diversificate, e nel frattempo blandisce il proprio partito assicurando che sarà coinvolto «in permanenza» nella scelta, anche perchè «se stavolta si fallisce il Pd sarà additato come il colpevole». Sarà Una task force composta dai capigruppo Speranza e Zanda, dal presidente Pd Orfini e dai vicesegretari Guerini e Serracchiani a presidiare il fronte interno. A chi dalla minoranza democrat paventa una scelta dettata dal «patto del Nazareno» (che «non può diventare una camicia di forza», lamenta la dalemiana Pollastrini), Renzi rammenta che anche nel '99 e nel 2013 io capo dello Stato fu scelto con Berlusconi. Quanto ai Cinque Stelle, «se volessero entrare nel gioco democratico sarebbe bello, ma faremo anche senza di loro».

Su un punto però, nell'ambito di un intervento alquanto diplomatico, Renzi va giù duro con la malmostosa minoranza del suo partito: sull'Italicum non ci saranno ulteriori concessioni alle loro bizze, la legge elettorale è la migliore delle leggi possibili e va votata così, prendere o lasciare. E va votata ora: usando il povero Renato Brunetta come punching ball , il premier risponde con uno sberleffo a chi vorrebbe usare l'elezione del capo dello Stato per bloccare l'Italicum, come il capogruppo Fi che ha chiesto di rinviare il voto a dopo la scelta per il Colle: «Brunetta vuole che il Parlamento smetta di lavorare, è il re dei fannulloni che voleva contestare. Vuole che deputati e senatori stiano seduti sui divanetti modello «ho perso l'aereo». Io propongo che invece lavorino anche di notte per mantenere il proprio impegno a fare le riforme».

Sul Quirinale lo scontro interno per ora è rinviato, e gli strali della minoranza si puntano tutti su un altro tema, che paradossalmente diventa il fulcro del dibattito in Direzione: le primarie in Liguria, perse da Sergio Cofferati che contesta strenuamente il risultato accusando di brogli la vincitrice Raffaella Paita, e che dopo la sconfitta minaccia (per ora riservatamente) di andarsene sbattendo la porta dal Pd.

Non si sa però se rinunciando anche allo scranno al Parlamento europeo. Un ventilato strappo che non pare preoccupare granché Renzi, che ieri ha tagliato corto con le polemiche benedicendo la vincitrice: «Da oggi è la candidata ufficiale e tutto il Pd deve sostenerla».

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