Retromarcia continua. Dopo i primi mal di pancia scoppiati con la clamorosa giravolta effettuata in occasione dell'elezione di Sergio Mattarella, con la promessa (puntualmente disattesa) che mai e poi mai sarebbe stato accettato il metodo renziano del «prendere o lasciare», è arrivato a poca distanza lo schiaffo delle dimissioni di Maurizio Lupi, frutto del pressing effettuato dal premier e dai suoi ministri. Un «uno-due» che ha portato il Nuovo Centrodestra a entrare in una fase influenzale profonda e a dover fare i conti con una tensione palpabile anche nelle file parlamentari. «È evidente a tutti che siamo molto inclini ad abbaiare» dice un esponente lombardo del partito, «ma incapaci di mordere. Così non è facile ottenere rispetto e pari dignità politica da Renzi che già di suo non è un campione nell'ascolto delle ragioni altrui e si sente a capo di un monocolore Pd. L'impressione che si dà all'esterno è quella che ci sia sempre una scusa buona per restare al governo».
Gli episodi più eclatanti in cui la pressione renziana è stata esercitata al massimo livello di intensità sono quattro: il caso De Girolamo (con le dimissioni del ministro); le modifiche al Jobs Act; l'elezione di Mattarella e l'affaire Lupi. Leggermente più indietro lo scontro sul divorzio breve; la riforma delle banche popolari; la modifica della prescrizione; l'addio al sottosegretario Antonio Gentile. Ma quali sono state le motivazioni addotte per giustificare la resistenza a oltranza e il sostegno - sempre e comunque - al governo Renzi? Si va dalla «necessità di essere responsabili» al dovere di «portare il nostro riformismo in questo governo». Si passa per la prefigurazione di un nuovo schema, sostanzialmente quadripolare - spesso evocato da Fabrizio Cicchitto o da Gaetano Quagliariello - in cui il governo del Paese spetterebbe alla destra gollista alleata con la sinistra riformista e l'opposizione toccherebbe agli opposti estremismi della destra euroscettica e della sinistra massimalista. In sostanza un lasciapassare per creare la «destra renziana» rappresentata da Ncd. L'altra scusa per la politica dei «sì» a oltranza a Renzi è quella della paura: il timore che senza Ncd possa affermarsi un Pd a trazione «sinistra», attraverso il rafforzamento della minoranza civatiana. Oppure che tornando alle urne il centrodestra possa finire nelle mani di Matteo Salvini.
Tutte motivazioni utili a giustificare il fatto che gruppi parlamentari entrati in Parlamento nelle liste «Pdl - Per Berlusconi presidente», oggi rappresentano la perfetta stampella, l'ideale assicurazione sulla vita del governo Renzi.
Con il rischio di avere un partito che esiste solo nei palazzi, nei ministeri, nei consigli regionali e comunali. Intento solo a perseguire quella collaborazione a ogni costo che Renato Brunetta definisce oggi la «morale dell'adattamento politico».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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