«Facciamo una guerra dove al limite è lecito anche sparare a tutti coloro che fanno commercio di carne umana. E cioè agli scafisti: quelli vanno arrestati e con quelli va usato il pugno di ferro». Colui che ha pronunciato queste parole in un'intervista sull'ultimo numero di Panorama non è un esponente di centrodestra, ma il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, Pd, centrosinistra, renziano della prima ora. Una svolta? Una retromarcia rispetto alla retorica buonista che ha sempre caratterizzato i progressisti? Forse entrambe le cose, ma soprattutto un invito ai partner internazionali dell'Italia ad assumersi le proprie responsabilità. «L'Onu faccia l'Onu dicendo chiaramente: in Libia adesso mandiamo una forza di interposizione, facciamo lì i campi di accoglienza e di selezione, individuando chi veramente può godere dello status di rifugiato», ha sottolineato Delrio, spingendosi oltre le colonne d'Ercole del «politicamente corretto». Non si tratta di un'intemerata. Il ministro ha trasposto in altri termini le intenzioni del presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Ieri, il premier ha svolto due informative sull'emergenza immigrazione al Senato e alla Camera. In entrambi i casi ha riproposto il medesimo messaggio. «La sinistra non deve avere paura del concetto di rimpatrio, non è più un tabù, ai rimpatri ci dobbiamo aggrappare per evitare il rischio di un'ondata che mette in discussione l'Europa», ha detto. Non è una frase banale perché il «rimpatrio» è l'esplicita previsione della legge Bossi-Fini, tuttora in vigore, che prevede l'immediata espulsione degli immigrati irregolari. Quella normativa, con buona pace del capo del governo, per la sinistra è sempre stata un tabù perché si scontra e, tuttora, continua a scontrarsi con l'ideologia dell'accoglienza indiscriminata che, ad esempio, pervade molte amministrazioni di centrosinistra. A partire da quella del Comune di Milano che ha trasformato la Stazione Centrale in un dormitorio. Tale presa di posizione, comunque, non esime dall'esercizio del dubbio. Quale Renzi ha parlato ieri? Il «Renzi 1» che, agli albori della nuova ondata migratoria, prevedeva un'azione militare di contrasto guidata dall'Italia (in quel caso fu il ministro della Difesa Pinotti a esporsi)? Il «Renzi 2» che, subito dopo, sottolineò la necessità di aspettare l'esito dei negoziati e delle mediazioni dell'Onu con i governi libici, vista la riluttanza degli Stati Uniti e della Nato in generale a un nuovo intervento? Oppure il «Renzi 3» che di tanto in tanto minaccia la Commissione Ue di un fantomatico «piano B» sull'immigrazione poiché i singoli Stati della Comunità, a partire da Francia e Germania, proprio non ne vogliono sapere di adottare un sistema di quote per ripartire equamente i richiedenti asilo? In ogni caso, questa sortita è destinata a rendere ancora più profondo il solco che divide i renziani e tutto ciò che sta alla loro sinistra. Basti pensare che ieri Sel ha organizzato un happening teatrale per sensibilizzare i romani sull'accoglienza dei migranti. E nel Pd queste sensibilità permangono e potrebbero pesare sul prosieguo dell'azione parlamentare del governo di Renzi. Che non a caso ieri ha stigmatizzato la scelta, poi abbandonata, dell'Ungheria di erigere un muro al confine serbo per fermare l'afflusso di migranti.
Aumentando la confusione, un piccolo risultato Renzi l'ha raggiunto: nelle bozze di risoluzione del Consiglio Ue di oggi si legge che «tutti gli Stati membri parteciperanno al meccanismo di redistribuzione delle 40mila persone in chiaro bisogno di protezione internazionale». Senza l'ufficialità, però, è meglio non fidarsi troppo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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