Sugli strascichi di moderne Shéhérazade

Sugli strascichi di moderne Shéhérazade

La perduta e splendida Beirut degli anni '60, decadente crocevia di mondanità e intrighi, di monarchi deposti, potentati in declino e di avventurieri d'ogni sorta, chiaroscurale palcoscenico di donne fatali e magnifici bancarottieri che si ritrovavano all'ora del cocktail intorno alla piscina del Saint George's - poi divenuto tristemente celebre quale sede dei corrispondenti di guerra di tutto il mondo durante il terribile conflitto degli anni '80 ,- rivive come un sortilegio di riflessi, di colori e suggestive fragranze, nell'avvincente collezione haute couture di Elie Saab. I riferimenti e le ispirazioni, come racconta lo stesso Saab, profondamente legato alle proprie radici libanesi, sono molteplici e sovrapposti. È tutto uno speziato immaginario di opulenza quasi fiabesca, un superbo incrocio di chic occidentale e raffinatezza d'Oriente, sedimentata da secoli di raffronti culturali e sovvertito con puro divertimento dalla deflagrante parabola pop. Memorie dei palazzi e segreti giardini interni dell'aristocrazia maronita, alti sulla collina di Achrafief, crinoline da principessa di sogno, panier neo-settecenteschi e strascico da Shéhérazade. Poi vibranti bagliori di damasco moreschi e bizantini, che si sovrappongono all'evocazione della scintillante e scavata figura di Dalida, per eccellenza l'androgina iperdiva della canzone, tuttora amatissima in tutto il mondo mediorientale. Il dramma mediterraneo reincarnato con un eccitante retrogusto egiziano. Elie Saab conta affezionate sostenitrici in ogni parte del globo. In prima fila siedono infatti bellissime giovani signore russe e americane, dame che provengono dagli Emirati Arabi Uniti con make-up, gioielli e acconciature sbalorditive, ha conquistato un successo che sembra non conoscere battute d'arresto, come testimonia l'atmosfera di entusiasmo e di partecipazione emotiva che sempre connota i suoi défilé parigini. Ma l'onda libanese a Parigi di certo non finisce qui. Ecco il giovanissimo e talentuoso Rami Kadi, beniamino delle residenze reali dell'intero Medio Oriente, che ha fondato il proprio atelier a Beirut, dove, riportando in vita antiche stupefacenti tecniche di realizzazione e ricamo, seguita a formare maestranze molto specializzate. Quando arrivo da lui, al Plaza Athénée, ad ammirare i suoi abiti intessuti di luce trovo Hafsia Herzi, vincitrice di un César, la principessa marocchina Lala Soukhaina, la bellissima attrice sua conterranea Razane Jammal. Un lavoro giocato su proporzioni accentuate e mosse, che talvolta citano dinamiche e silhouettes '50, specie la canonica «ligne Bar» Dior, campite da fitte superfici di preziosi ricami di origine ottomana o francese rococó, declinati su contrasti e textures di neri accostati a toni madreperlacei e metallici molto '70.

Infine Toni Ward, che ha scelto di guardare all'architettura gotica, al suo slancio mistico e ascensionale. Nerbature di pizzo e broderies, policromi effetti da vetrata ogivale, gazar e zibellino per un armonica meditazione sui temi della leggerezza e del volume in dinamica di trasformazione.

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