da Roma
Per ironia della sorte, mentre nel corso della conferenza dei Capigruppo in Senato si discuteva se ricorrere o meno alla fiducia per stringere i tempi di delibera del Ddl di riforma della Giustizia, il capo dello Stato Giorgio Napolitano, dal Ghana si diceva «fiducioso» circa la sua approvazione entro il 31 luglio. Data che per la maggioranza segna una dead line invalicabile per mandare definitivamente in pensione la riforma Castelli.
Dalla riunione dei presidenti dei senatori, a cui ha partecipato anche il ministro per i rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti, ne è uscito un sostanziale cessate il fuoco in cui la Cdl ha dato rassicurazioni di «non fare ostruzionismo ma solo opposizione». La maggioranza, dal canto suo, ha accolto la possibilità di procedere senza il ricorso alla fiducia «se non in caso di necessità». Pur rimanendo in finestra ad osservare latteggiamento della Cdl e lasciando sostanzialmente aperta una terza via, il «contingentamento dei tempi» paventato dal presidente del Senato, Franco Marini, in modo da assicurare la conclusione delliter a palazzo Madama come previsto entro venerdì sera o sabato. Le votazioni cominciate nel pomeriggio dopo la replica del guardasigilli, hanno visto la bocciatura per una manciata di voti di una quindicina di emendamenti presentati dalla Cdl.
Critico il capogruppo azzurro Renato Schifani che ricordando il senso di responsabilità avuto dallopposizione si è detto «dispiaciuto» del fatto che ancora si parli di voto di fiducia: «Se dovesse accadere - ribadisce - significa che il Senato realmente sarebbe stato svuotato di ogni funzione. Credo che ce ne sarebbe quanto basta per fare un appello al Capo dello Stato». Intanto allagitazione indetta dallAnm risponde in aula il relatore del ddl, Giuseppe Di Lello: «Quella dellordinamento giudiziario è una riforma equilibrata e per questo non ci spaventa che sia gli avvocati che i magistrati protestino, arrivando questi ultimi ad annunciare uno sciopero». Durissima anche la reazione di Gaetano Pecorella (Fi), componente della commissione Giustizia della Camera per cui «ancora una volta la magistratura, attraverso il suo sindacato, pretende di forzare la volontà del Parlamento». Allopposto ad aprire una crepa nella maggioranza ci pensa il ministro delle infrastrutture Antonio Di Pietro: «Il ministro della Giustizia e il governo tutto sono tenuti a dare risposte ai magistrati senza menare il can per laia. Lo sciopero proclamato dallAnm è lultimo, disperato appello». «Invece di pretendere da noi dellItalia dei Valori il voto di fiducia - prosegue - sarebbe ora che si emanasse un provvedimento veramente a favore della giustizia e non contro di essa».
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