Roma - Quando il gioco si fa duro, l’opposizione si liquefa. Altro segno dell’inconsistenza di un’alleanza che in Parlamento fatica a suonare lo stesso spartito. L’incredibile voto d’astensione del Pd sulla proposta dipietrista d’abolire le province rende ancora più acuta la crisi del partito di Bersani e della sua capacità di leadership politica.
Ci è andato a nozze, Antonio Di Pietro, che non esita a «denunciare politicamente la corruzione parlamentare realizzata in concorso tra maggioranza e una parte dell’opposizione che ha portato al no all’abolizione delle province. Un tradimento delle promesse elettorali dei partiti ai loro elettori: hanno raccontato tutti un sacco di frottole, la peggiore della quale quella che bisogna tornare in commissione, perché occorre riflettere ancora. Una scusa bella e buona per mantenersi cadreghe e cadreghine». Di Pietro parla di maggioranza «come Erode» e opposizione «come Ponzio Pilato, un asino di Buridano che tra il sì e il no muore di fame».
«Assolutamente favorevole al taglio delle province» si dichiara anche il leader di Sinistra e Libertà, Nichi Vendola, che però non siede in Parlamento. E persino Pier Ferdinando Casini ieri ha dovuto dare ragione all’odiato Di Pietro: «Lui è solito emanare sentenze, ma non è detto che siano tutte sbagliate. Il Pd ha commesso un grave errore politico a non aiutare una battaglia giusta simbolica e seria per asciugare il ceto politico e i suoi costi». La polemica infuria all’interno del partito di Bersani, la cui debolissima giustificazione è stata affidata al responsabile degli Enti locali, Davide Zoggia. «Non è cancellando una parola che si risolve il problema del costo della politica...Se si vuole fare sul serio, bisogna dire a chi, una volta abolite, vanno le funzioni delle province e come verrà dislocato il personale che oggi vi lavora».
Ma già dal mattino le voci contrarie, o addirittura esterrefatte, si sono fatte sentire. Da Chiamparino al sindaco di Firenze, Matteo Renzi, è stato un susseguirsi di distinguo, di «abbiamo perduto un’occasione», «era il segnale da dare al Paese», «potevamo battere un rigore e non abbiamo calciato». «Fatto assai grave», lamenta Ignazio Marino, mentre Veltroni dice di esser stato d’accordo con l’abolizione, ma di aver voluto «seguire il gruppo». Di errore parla anche il capo dei senatori piddini, Anna Finocchiaro, che annuncia la presentazione di una proposta «più articolata» a Palazzo Madama.
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