Quando si educa l’esempio vale più di mille discorsi

Carissimo direttore,
mi ha commosso quanto a Benedetto XVI stia a cuore il destino dei giovani. Nel Te Deum ha parlato di loro con grande affezione, evidenziando come ognuno di loro porti «insopprimibile nel proprio cuore la domanda sul senso dell’umana esistenza» e sollecitando gli adulti ad avere verso i giovani uno sguardo di simpatia totale. Il Papa ha anche indicato il metodo con cui si possono aiutare i giovani a trovare la risposta alla domanda che urge dentro il loro cuore. Gli adulti non sono chiamati a dare regole di vita o prescrizioni, ma devono semplicemente «testimoniare alle nuove generazioni la gioia che scaturisce dall’incontro con Gesù, il quale nascendo a Betlemme è venuto non a toglierci qualcosa, ma a donarci tutto».
Si educa testimoniando, è questa la sfida decisiva di questi tempi ed è per questo che di fronte alla domanda dei giovani ogni adulto è sollecitato a chiedersi se ciò per cui vive lo rende contento, altrimenti che cosa avrebbe da offrire ai giovani? Solo istruzioni per l’uso, il che sarebbe un’offerta ridicola, perché è la felicità ciò che un giovane d’oggi cerca e solo uomini e donne felici possono stare all’altezza di questa urgenza, l’unica vera urgenza della vita.

Caro Mereghetti, credo che la «domanda insopprimibile sul senso della vita» non stia solo nel cuore dei giovani, ma degli uomini e delle donne di qualsiasi età; e una delle cose che mi piacciono di questo Papa è proprio il fatto che, pur guardando ai giovani con grande affetto, non fa di essi una categoria privilegiata o protetta, come ci siamo purtroppo abituati a fare da un po’ di anni a questa parte, diciamo dal mitico Sessantotto in poi. Il Papa parla anche ai giovani, e ci mancherebbe, però rifugge dal giovanilismo, pessima tentazione, e mi pare che alcune sue battute recenti sulla Giornata Mondiale della Gioventù (ha detto che lui non è una rockstar, e che quei raduni non devono essere scambiati per concerti: purtroppo è successo anche questo, in passato) lo facciano ben intendere.
Premesso tutto questo, è vero che quando si è giovani si è più portati a dare spazio, dentro di sé, alle grandi domande ideali; mentre con il passare degli anni preoccupazioni e affanni, ma pure ambizioni ed egoismi, ci inducono a riporre in un angolo un po’ impolverato della nostra coscienza quelle domande cui lei faceva cenno. Resta comunque il compito di educare. Lei dice che il Papa non indica regole ma «la gioia che scaturisce dall’incontro con Gesù». Non entro nel merito perché quella è una questione di fede. Mi limito a sottolineare una parte che mi pare importante del suo ragionamento, e cioè che «si educa testimoniando». Penso che sia una riflessione condivisibile anche da chi non crede. È dando l’esempio che si trasmette un valore ai nostri figli.

Certo non dobbiamo pretenderci infallibili: anzi, i figli debbono anche fare esperienza della fragilità dei genitori. Però è importante mostrare loro una tensione verso il bene, e soprattutto una sincerità di fondo. Che vale più di mille discorsi.

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