di Daniela Fedi
Donatella Versace ha lanciato la proposta dieci giorni fa: un tavolo di discussione a casa sua con Armani, Prada, Gucci, Dolce & Gabbana, argomento Milano e la moda. Ha aderito pubblicamente solo l'assessore Boeri che per altro non era stato nemmeno invitato. Alla vigilia delle sfilate di Milano Moda Donna (da oggi fino al 26 febbraio) la bionda signora del made in Italy fa il punto della situazione e in questa intervista esclusiva parla anche di politica, di figli e del futuro in generale.
Ci è rimasta male per la mancata reazione dei suoi colleghi?
«Proprio no: due di loro mi hanno risposto privatamente e già non è poco. Trovo inconcepibile però la mancanza di dialogo tra noi qui a Milano. Se scambio sms e telefonate con Riccardo Tisci o con Lagerfeld a Parigi, oppure con Christopher Kane e tanti altri giovani designer a Londra, a maggior ragione dovrei poterlo fare con chi fa il mio stesso lavoro in questa città».
Chi sono i due, cosa le hanno detto e gli altri?
«Non voglio fare nomi in questa fase, è prematuro. Ne riparliamo dopo le sfilate, a bocce ferme. Comunque ci stiamo lavorando: tre nomi su cinque è già un buon punto di partenza».
E il punto d'arrivo quale sarebbe?
«Camera Moda deve diventare un'azienda con un fior di amministratore delegato, una persona nuova e super partes che sappia far funzionare le cose nei due sensi: l'immagine e il profitto. Penso a uno come Andrea Guerra, classe 1965, ceo di Luxottica. Lui non verrà mai, ma io vorrei uno così, con quel tipo di mentalità, con quell'età, capace di guardare avanti e di avere sempre una visione».
Non le piacerebbe una come Natalie Massenet, la fondatrice di Net a Porter e neo presidente della camera della moda inglese?
«Certamente: mi piacciono le donne con le palle. In Italia ce ne sono tante e non solo nella moda. La Fornero, per esempio è molto determinata. L'ho conosciuta al Quirinale per la festa della Repubblica e l'ho trovata simpatica, un vero ciclone». (...)
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