È stata un tale carnaio la Grande guerra da alimentare ogni disfattismo prima, ogni totalitarismo dopo. Di conseguenza, dal 1914 l'Europa ha imboccato ogni declino: demografico, politico, morale e storico. Ora anche quello economico, perdendo legemonia sul mondo. Questa amara consapevolezza percorre Joyeux Noël (Buon Natale) di Christian Carion, ispirato alla reale fraternizzazione avvenuta nelle trincee nel Natale 1914, come lha raccontata Michael Jürgs nel libro La piccola pace nella Grande guerra (Il Saggiatore).
Presentato allultimo Festival di Cannes, il film di Carion aveva qualità per figurare nella rassegna principale, ma è finito nella secondaria. È probabile che finirà in seconda fila anche negli incassi in Italia, perché non ha attori di prima grandezza e perché nessuna campagna di stampa gli spiana la via, sebbene le morti in massa di tedeschi, francesi, britannici e belgi siano state un evento più importante che il regolamento di conti fra bande mediorientali narrato da Spielberg nel troppo atteso Munich.
Opera corale, Joyeux Noël evoca Orizzonti di gloria di Kubrick (1958) più che il recente Una lunga domenica di passione di Jeunet (2005). Lodore di codardia di questultimo è spazzato via dall'ansia di civiltà di Joyeux Noël. Qui la civiltà europea - nelle sue diverse accezioni - affiora dalle trincee per poche ore, col pretesto del Natale, con loccasione del canto di Stille Nacht, cui risponde Adeste, fideles.
Comera possibile? Lo era perché la «guerra di materiali» non era ancora la «guerra ideologica di materiali», come sarebbe diventata nel 1917 con lintervento americano e la rivoluzione russa. Nel 1914, dopo soli quattro mesi di combattimento e già un milione di caduti sui vari fronti, il quesito «Ma perché?» affiorava fra truppe che constatavano come - fra pulci e cimici, feci e ratti, fango e bombe - morire per la patria era meno bello che nelle attese. Per tanti che comunque si battevano, cera naturalmente chi sarrendeva.
JOYEUX NOEL di Christian Carion (Francia/Germania/GB, 2005), con Daniel Brühl, Benno Fürmann. 113 minuti
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