Quell’eccesso di prudenza da Bruxelles e Washington

Quante volte abbiamo letto commenti affranti sull’Europa che non c’è? O che non ha un’anima? Centinaia dopo ogni crisi, grande o piccola, dalla Bosnia al Kosovo, dalle grandi trattative internazionali alle crisi energetiche. La Ue sembra incapace non solo di imporsi, ma persino di farsi sentire. E anche in queste drammatiche giornate si ripete il solito scenario. Chi ha sentito la voce dell’Europa durante la rivolta in Tunisia? E in queste ore chi presta attenzione alle dichiarazioni di Bruxelles? Certo, l’Unione Europea parla, ma nessuno le presta ascolto. Anche perché si limita a promettere amicizia e sostegno a regimi traballanti, salvo poi fare tardivi mea culpa quando questi sono crollati: con quale credibilità è facile immaginare.
Non che gli Stati Uniti stiano dando miglior prova, in verità. Ma per lo meno si sforzano di consigliare gli autocrati al potere di ascoltare le ragioni della protesta dei loro popoli prima che sia troppo tardi. Così ieri la Casa Bianca ha rivolto un appello sia al governo sia ai manifestanti in Egitto a evitare ogni violenza. Ma ha anche suggerito che le proteste in corso offrono la possibilità al presidente Mubarak di ascoltare i suoi connazionali.
Consapevole che la situazione è in delicata ed imprevedibile evoluzione, l’amministrazione Obama è tornata ieri a definire il presidente egiziano un partner «vicino e alleato» degli Stati Uniti, ma ha sottolineato che Washington non intendeva schierarsi nel conflitto tra governo e dimostranti in Egitto.


Evidentemente la lezione della Tunisia, dove le potenze occidentali sono state costrette ad ammettere di aver sottovalutato la portata della collera popolare, non è stata dimenticata. Ma gli equilibrismi di questi giorni potrebbero comunque presentare un conto da pagare all’Occidente il giorno che Mubarak dovesse fuggire come Ben Alì.

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