Gian Marco Chiocci e Massimo Malpica
Libero di stravolgere la verità. Antonio Di Pietro fa il bis nelle ripetitive (imprecise) precisazioni sulla pagine del quotidiano di Vittorio Feltri. Continua a non rispondere, l’ex pm. Sorvola su fatti certi, riscontrati, inquietanti. Gli si chiede una cosa, e lui risponde con un’altra. Ma noi insistiamo. Partendo dalla cosa che più lo preoccupa: l’interrogatorio di domani a Napoli come persona informata sui fatti (sic!) sulla fuga di notizie sulle intercettazioni del figlio Cristiano.
1. Dice Tonino: «Nessuno mi ha mai detto che Mautone era sotto inchiesta a Napoli e men che meno che era sotto intercettazione (almeno fino a quando non furono proprio alcuni giornali e agenzie a darne illecitamente notizia)».
La cronologia dei fatti lo smentisce. Di Pietro ha detto di tutto su come seppe delle indagini sul provveditore Mautone (che parlava col figlio Cristiano) quando ancora queste erano coperte dal segreto istruttorio. Il 3 dicembre all’Ansa: «Trasferii Mautone a Roma non appena ebbi le prime avvisaglie dell’inchiesta», cioè nell’estate del 2007, in piena indagine. Il 4 dicembre Tonino rettifica: «L’ho saputo dalle agenzie», ma nessuna agenzia di stampa pubblicò mai nulla. Anche il procuratore capo Lepore ha smentito Tonino: «Le prime fughe di notizie risalgono a fine gennaio del 2008», cioè cinque mesi dopo le «prime avvisaglie» di Di Pietro. Il 28 dicembre l’ex pm, a Repubblica, cambia ancora versione: «Voi sapete come vanno queste cose: il chiacchiericcio e le dicerie si vengono a sapere ben prima. Io poi non ero uno di passaggio, ero il ministro, e nel mio ufficio arrivavano segnalazioni di tutti i tipi, anche anonime». Anonime, come no. Poi arriva l’informativa della Dia che parlerà di «pesanti sospetti» con riferimento a Tonino. Letterale: «A seguito della fuga di notizie, Mautone riceve comunicazione di trasferimento a Roma, Cristiano Di Pietro non parlerà mai più al telefono con Mautone, dopo che nel corso dell’ultima telefonata la linea viene interrotta bruscamente. Il ministro Di Pietro chiede di parlare di persona con il senatore Formisano, poi fa una riunione politica dove chiede ai suoi collaboratori di tenere fuori il figlio perché ritenuto “troppo esposto”». Ancora? «C’è un improvviso silenzio di Cristiano Di Pietro che si rifiuta di parlare con Mautone» e gli investigatori parlano «di elementi oggettivi dai quali si evince l’improvvisa preoccupazione di Cristiano di conversare al telefono con Mautone».
Ps: Leggendo il quotidiano il Mattino, che cita fonti giudiziarie, si apprende che è stata la procura di Napoli a convocare Tonino come persona informata sui fatti. Non è stato dunque Tonino a decidere di presentarsi, come ha lasciato intendere il 10 gennaio (sempre a Libero).
2) Dice Tonino: «Non vi è alcuna doppiezza fra Associazione e partito».
Per l’ennesima volta siamo qui a ricordare a Di Pietro che il Tribunale di Roma ha stabilito che l’«Associazione Italia dei Valori è soggetto diverso dal Movimento Politico Italia dei Valori». Di più. Gli elementi emersi successivamente, dopo accessi agli atti, confermano tale diversità e confermano anche che a depositare le liste e il contrassegno era il partito-Movimento in persona di Di Pietro, e a chiedere i rimborsi elettorali era Silvana Mura, spacciandosi per rappresentante legale del partito, senza alcuna delibera dello stesso e facendo affluire rimborsi su conti nell’esclusiva disponibilità dei tre soci dell’associazione. Da qui Di Pietro corre dal notaio.
2bis) Dice Tonino: «Gli organi amministrativi e di controllo hanno sempre riscontrato la legittimità dello Statuto e la correttezza delle appostazioni di bilancio e della rendicontazione presentata».
Come Di Pietro sa bene gli organi di controllo «ufficiali» controllano poco o niente (come ammesso dalla Corte dei Conti). I controlli sono meramente cartolari e formali, al punto che il collegio dei revisori della Camera non acquisisce neppure la delibera assembleare di approvazione del rendiconto del partito. La Camera paga sulla base di autodichiarazioni.
3-4) Dice sostanzialmente Tonino: «I contribuiti elettorali ricevuti sono stati sempre incassati dal partito dell’Idv» e «i controlli li abbiamo sempre esercitati».
Così non è, come dimostrato nell’inchiesta sull’«Associazione di famiglia» pubblicata il 2 gennaio. Come annota in una decisione il Tribunale di Milano il 19.10.2007 nell’Idv sono state riscontrate «gravi condotte nell’autoapprovazione di rendiconti preventivi e consuntivi per milioni di euro».
5) Dice (di nuovo) Tonino: «Non è vero che non potevo comprare la casa dell’Inail a Bergamo perché ero un pubblico amministratore e la legge me lo impediva (ero solo parlamentare europeo). Non è vero nemmeno, continua Di Pietro, «che per l’acquisto mi sono servito di un prestanome».
Non è assolutamente così. Ad agosto 2004, chissà perché, anziché metterci la faccia come qualsiasi cittadino, Antonio Di Pietro ricorre a un’altra persona (Belotti, marito della tesoriera Mura, componente del Cda della sua società immobiliare Antocri) per la gara d’asta dell’Inail per l’acquisto di una casa a Bergamo in via Locatelli 29. Resta nell’ombra fino alla fine, quando compare per staccare cinque assegni. Al di là di quello che prevede la legge sulle «cartolarizzazioni» e sul divieto ai parlamentari di acquisire una casa. Di Pietro a quell’epoca era parlamentare europeo, poi eletto alla Camera il 9-10 aprile 2006, diventato ministro il 18 maggio. L’11 aprile (Di Pietro è deputato da un giorno) «il perfezionamento dell’atto di acquisto» non aveva finito il suo iter di efficacia, dovendo seguire i tempi della «trascrizione presso i pubblici registri immobiliari». Quel che Di Pietro non chiarisce è perché ha dovuto partecipare a un’asta rimanendo nell’ombra. Perché si è dovuto rivolgere a un’altra persona per portare avanti una pratica che avrebbe potuto benissimo seguire lui. Per tutte le altre anomalie rimandiamo all’articolo dal titolo «Di Pietro e la strana storia dell’ex casa Inail» pubblicato il 28 ottobre scorso.
6) Dice Tonino. «Come spiego il giallo che l’Idv pagava l’affitto della sede di Roma alla famiglia Di Pietro? Nessun giallo, tutto alla luce del sole».
Anche qui rimandiamo alle inchieste precedenti del Giornale sulle case di Tonino. Rammentiamo solo che l’«andazzo immobiliare» dell’ex pm (che aveva fatto altrettanto con la sede di Milano dell’Idv, trasferita da Busto Arsizio in un immobile di proprietà dell’immobiliare Antocri di Di Pietro in via Casati 1) è stato stigmatizzato dal gip di Roma che ha parlato di «inopportunità di siffatte generi di operazioni». Operazioni che, però, «sfuggono all’indagine finalizzata esclusivamente alla verifica di fatti-reato fermo restando, però, e sotto tale profilo, la negativa ricaduta di immagine personale e politica che la notorietà del fatto potrebbe determinare nell’opinione pubblica nei confronti dell’on. Di Pietro».
7) Ciò che non dice Tonino.
Nonostante la disponibilità a pubblicare tutte le carte, Antonio Di Pietro evita ancora di rendere pubblico l’atto notarile originale del nuovo statuto. Pubblica solo gli allegati. Perché? Il Giornale vorrebbe sapere con chi è andato dal notaio. Se ce l’ha mandato il Partito con apposita delibera o se si è fatto accompagnare dalla moglie o dalla tesoriera dal partito per conto dell’Associazione. Il dettaglio non è di poco conto.
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