Raccontare i vinti. Quelli che, per decenni, non hanno avuto nemmeno il diritto di essere ricordati, di essere pregati, di essere amati. Se non, in silenzio, dai loro cari. Perchè, farlo, significava immediatamente essere destinati a prendersi botte di «fascisti!».
Ecco, credo che raccontare i vinti sia un atto di giustizia, un minimo di risarcimento - col cuore - a persone a cui era stato rubato tutto. Non solo in vita, nei giorni e nei mesi drammatici dopo il 25 luglio e dopo l8 settembre. Ma anche dopo la morte.
Insomma, i nostri articoli sulla Resistenza (quella con la erre maiuscola) tradita da delinquenti comuni; sulle vendette private del dopoguerra vendute come atti eroici, con tanto di targhe commemorative per strada; sul tentativo di fare la rivoluzione comunista in Italia, mascherata come un ultimo sussulto della guerra di liberazione dal fascismo; sul tentativo eversivo dei nonni di quelli che poi sarebbero stati le Brigate Rosse; sulla criminalità di tagliagole e delinquenti vari, di infimo livello, che hanno coperto furti e ruberie indegne con la parola Resistenza.
In tutto questo, non cè mai stato un intento «politico». Ma, semplicemente, abbiamo provato a raccontarvi storie umane. Di ricordare, appunto, chi era stato scippato persino del diritto al ricordo. (...)
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