Recidivo Felipe, l’idolo degli ultrà

di Tony Damascelli
Dicono che Felipe Melo sia il nuovo idolo dei tifosi juventini. Penso che si faccia riferimento agli idioti che hanno approfittato del minuto di silenzio per sfogare la loro violenza verbale, in attesa di quella fisica, inveendo contro gli avversari piuttosto che rispettare la memoria di due alpini, Enzo Bearzot e Matteo Miotto. Dicono che Felipe Melo, uscendo dal campo dopo l’espulsione, si sia lamentato con la seguente tesi: «Pago perché sono Melo». In verità lo pagano perché si chiama Melo, uno dei più grandi bluff del nostro campionato e del calcio mondiale. La sua reazione di ieri, un calcio volontario in faccia all’avversario, è roba da codice penale, tomo di competenza del raffinato brasiliano, al suo terzo cartellino rosso da quando gioca con la Juventus, dopo i due ottenuti con la Fiorentina. Nessuna novità, Felipe Melo è un calciatore sopravvalutato da Blanc e la sua orchestra che lo hanno pagato 25 milioni di euro ed è un calciatore sopravvalutato soltanto perché nato in Brasile e non a Pinerolo o ad Altamura, altrimenti vagherebbe in serie B, come massimo. È un medianaccio che rientra nella filosofia del calcio moderno, tutto muscoli, densità, diagonali, aggressività e piedi di marmo. La sua uscita dal gioco ha penalizzato la squadra e, in altre epoche, come responsabile pagherebbe con una multa pesante.
Poi l’allenatore ci ha messo del suo, preso dalla frenesia che fa parte del suo dire e del suo pensare. Delneri ha tolto di mezzo Del Piero, dando un messaggio chiaro al Parma: noi della Juve siamo in 10, meglio puntare al pareggio. Ha giustamente inserito Pepe ma ha richiamato il capitano invece di privarsi di Grosso, ipotesi di difensore, presupposto centrocampista, attaccante mai nato. E dalla zona del pupillo di Lippi sono nate le azioni più pericolose e decisive del Parma. Andrea Agnelli, a fine partita, ha detto che alla squadra è mancata l’esperienza, ha aggiunto che la Juventus ha cambiato dodici uomini e va da sé che certi scompensi possano essere giustificati, comunque quello era il progetto e quello rimane. Vorrei ricordare al presidente che il Parma non ha un’esperienza superiore, e nemmeno uguale, a quella juventina; che dei dodici nuovi calciatori almeno otto sono di terza fila o galleria e che la Juventus non può più illudere nessuno con le prediche e scambiandosi un segno di pace. La squadra oggi, dopo 18 giornate, ha due punti in meno della banda-Ferrara. Qualsiasi riferimento è puramente casuale.
Se non ci sono i denari (questa è l’aria che circola al Lingotto) per intervenire sul mercato di gennaio, visto l’infortunio di Quagliarella, quello previsto di Iaquinta, l’assoluta inutilità di Amauri, se il conto corrente non permette investimenti allora sarebbe opportuno abbandonare la propaganda e scegliere il silenzio. Se, invece, la proprietà apre la cassaforte allora sarebbe preferibile non perdersi dietro Rinaudo, Martines, Sorensen, Motta, Traorè, Grosso, roba piccola che serve soltanto a rendere felici i rispettivi procuratori. Si potrebbe puntare su Giovinco, Palladino o Lanzafame oppure, come è accaduto nel mercato del gennaio scorso, su Paolucci. Cerco di scherzare.

Tra un pensiero dolce e l’altro, i dirigenti juventini cerchino di risolvere la questione Buffon: Storari è stato bravissimo ieri ma delle due l’una: o Buffon è il più forte di tutti, dunque deve tornare subito in porta, oppure non si fidano più di lui e allora lo mettano in vendita.
Se le cose stanno così è giusto che Felipe Melo sia l’idolo dei tifosi juventini

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