Alla ricerca di una destra maschia ma gaia

Un saggio racconta quel «terzo sesso» che rifiuta di farsi arruolare a sinistra

La sinistra tollerante e aperta verso l’omosessualità? Per rendersi conto di quanto lo sia basta una frase del vecchio Maksim Gor’kij: «Facciamo sparire tutti gli omosessuali e sparirà il fascismo». E nel tentativo di dargli retta i comunisti russi si sono dati, gulag, mitra e bastoni alla mano, molto da fare. E allora vien da interrogarsi, non se ne dolga Franco Grillini, perché un omosessuale dovrebbe per forza essere di sinistra e quanta cultura «gay» ci sia, invece, a destra. Se l’è chiesto anche Marco Fraquelli, studioso di Julius Evola (guru della destra a cui, pare, non dispiacessero i ragazzi), così attraverso una lunga ricerca è approdato ad una serie di risposte che ha concentrato in un saggetto agile: Omosessuali di destra (Rubbettino, pagg. 240, euro 12).
Il risultato è un escursus storico che parte dal culto del corpo maschile, che la destra ha ereditato dalla Grecia classica, e arriva ai fermenti politici degli ultimi anni come l’italiano GayLib.
Non tutto quello che racconta Fraquelli è una novità, vedasi le vicende sessuali di Ernst Röhm (il capo delle SA) e il loro peso nella tragica spirale che portò alla «Notte dei lunghi coltelli». È nuova però la sua capacità di valutare influssi culturali, orientamenti estetici, weltanschauung superoministe che dall’idea del «terzosesso» hanno tratto linfa e spunti. Così le pagine sull’esperienza proto-fascista di Fiume, tutta improntata ad una «sessualità futurista» in cui quel che conta è «osare» hanno una loro originalità. Anche il capitolo sul dibattito scatenato nell’estrema destra da Michael Kühnen, leader riconosciuto del neonazismo tedesco, morto di Aids nel 1991 e autore di Nazionalsocialismo e omosessualità, racconta un pezzetto di storia poco conosciuta. Certo, ogni tanto Fraquelli butta nel calderone della «cultura a droite», rimestandole con vigore, anche cose che c’entrano poco o hanno un peso marginale. Ma in un libro, che per natura cerca di sviscerare e enfatizzare una presenza, ci può anche stare. L’autore è poi attento ad evitare tutti quelle forme di pruderie che, con psicologismi buffoneschi, usano il chiacchiericcio sulle propensioni sessuali per spiegare la radice del totalitarismo.


Un sillogismo capzioso e infamante che, stranamente, gli «spiriti liberi» di sinistra pronti sempre ad insorgere a difesa delle minoranze, quasi mai condannano. E dire che di fronte ad un molto più innocuo, seppur becero, «meglio fascisti che froci» è tutto un fremere di sdegno.

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