Rivoluzione a Siena

Il gruppo toscano cambia vertice: esce di scena Vigni ed entra Viola. Il nuovo manager dovrà affrontare subito il nodo della ricapitalizzazione, aggravato dall'indebitamento della Fondazione

di Sergio Cuti

Terremoto ai vertici di Monte dei Paschi di Siena: pensionato il direttore generale Antonio Vigni, a Rocca Salimbeni è arrivato da Modena il nuovo capo-azienda Fabrizio Viola, ex direttore generale della Popolare dell’Emilia-Romagna (che in primavera dovrebbe diventare l’amministratore delegato dell’istituto toscano, il primo nella storia di questa banca). Con ogni probabilità, dovrebbe andarsene anche Gabriello Mancini, presidente della fondazione, anche se il suo mandato scade nella primavera del 2013, e al suo posto potrebbe insediarsi Alessandro Piazzi, uomo di fiducia del primo cittadino senese, manager d’azienda, amministratore delegato di Estra Energia, una multiutility toscana di oltre 500 milioni di fatturato (+22% nel 2010) e già componente della deputazione generale della fondazione Mps. E, infine, via anche Giuseppe Mussari, presidente di Monte dei Paschi di Siena dal 2006, e attuale presidente di Abi: il banchiere ha dichiarato a più riprese che lascerà Rocca Salimbeni alla scadenza del mandato, il prossimo aprile. Il nome che circola con insistenza per la sua sostituzione è quello di Franco Bassanini, ex ministro, numero uno di Cassa depositi e prestiti, molto legato al sindaco di Siena, Franco Ceccuzzi e alla città che è stata il suo collegio elettorale. Già, il primo cittadino. Il motore della rivoluzione ai vertici del gruppo toscano è stato proprio lui, Ceccuzzi. Che da qualche tempo, soprattutto dopo l’uscita di scena, nell’estate scorsa, del direttore generale della Fondazione, Marco Parlangeli, in tutte le interviste rilasciate ha sempre parlato della necessità di «trovare una discontinuità» nelle strategie di banca e fondazione, di un deciso «cambio di rotta» e di «aria nuova». E, infatti, il presidente Mussari, parlando ai sindacati dell’istituto, ha confermato che la nomina di Viola ai vertici di Rocca Salimbeni è stata decisa proprio per «dare una scossa ai mercati». Ma anche per fronteggiare, senza perdere un minuto di tempo, le richieste dell’Eba, l’Autorità bancaria europea, che ha chiesto al Monte dei Paschi di rafforzare il suo capitale per 3,2 miliardi, un «ordine» che l’istituto vuole evitare utilizzando altri strumenti. Ma Viola è stato chiamato a Siena - e alla scelta di questo nuovo timoniere ha contribuito in maniera determinante lo stesso presidente Mussari - soprattutto per la messa a punto di un nuovo piano industriale che tenga conto di un mercato finanziario ed economico che è completamente mutato in pochissimo tempo. I bilanci Alla successione di Vigni si dice che fossero stati contattati anche Alessandro Profumo (ex ceo di UniCredit), Fabio Gallia (numero uno di Bnl-Bnp Paribas) e Giampiero Maioli (amministratore delegato di Cariparma), ma conferme ufficiali dagli interessati e da Siena non ci sono state. Vigni ha guidato Rocca Salimbeni dal 2006 e ha gestito tutti i passaggi e le profonde trasformazioni organizzative che hanno portato «il Monte a diventare la terza banca del Paese» ha sottolineato l’azienda. Come suoi ultimi atti operativi, ha condotto in porto l’ultimo aumento di capitale di 2,15 miliardi nel 2010, ha concluso l’aggregazione di Antonveneta e, infine, è stato il manager che più di altri ha diminuito, anno dopo anno, gli ingenti costi di un istituto di credito. Tagli pesanti: i costi operativi del Monte dei Paschi, infatti, sono diminuiti dell’8% nel 2009, del 5% nel 2010 e di un altro 1,3% nei primi sei mesi dello scorso anno. Sono state dismesse più di 100 filiali (delle quali 50 sono finite a Intesa Sanpaolo e 22 a Carige). E cedute alcune partecipate, mentre era prevista, da qui al 2013, un’ulteriore e rilevante sforbiciata al personale: 700 fra dimissioni e assunzioni. Infine, sono state eliminate 193 poltrone che erano occupate da consiglieri d’amministrazione e sindaci. Non solo tagli. Nel primo semestre 2011, la raccolta è cresciuta di oltre il 5%, gli impieghi in progresso di quasi il 3% e i ricavi a +5% grazie ai buoni risultati di diversificazioni delle fonti. I ricavi sono stati vicino ai 2,9 miliardi e lasciano prevedere, per fine 2011, una somma in linea con l’anno precedente a circa 5,6 miliardi. L’utile al netto, sempre a fine giugno 2011, si è collocato a 261 milioni. Di che cosa si occuperà Vigni, adesso? Secondo alcuni andrà in pensione, per altri, invece, diventerà un super-consulente nella fondazione. tre sfide per viola Adesso tocca a Viola. Che si trova a fare i conti con la «nuova» Monte Paschi che fu disegnata nel 2010 da Vigni-Mussari. Che prevede la nascita di 99 direzioni territoriali di mercato (per gestire circa 24 filiali a testa), cioè presidi locali che coincidono con le province e i distretti produttivi per essere più vicini ai clienti. Infatti, secondo le intenzioni dell’ex tandem di vertice dell’istituto, il nuovo modello organizzativo deve snellire strutture e processi, e semplificare i rapporti con la clientela. Queste direzioni, quindi, hanno il compito di coordinare tutti i servizi e la loro operatività è assicurata da una «squadra» guidata da un responsabile che disporrà di maggiore autonomia decisionale. Sia nella concessione dei crediti, sia nel dettare le condizioni praticate ai clienti. Infine: a capo delle 99 direzioni territoriali mercato ci sono 11 aree. Con il nuovo direttore generale, la struttura rimarrà proprio questa? Lo vedremo presto anche perché, come si diceva, Viola dovrà mettere mano al piano industriale dei prossimi tre anni. Formazione bocconiana, 53 anni, ex direttore generale della Popolare di Milano dal 2004 al 2008, e successivamente amministratore delegato della Popolare dell’Emilia-Romagna con la quale voleva fondere la Bpm, Viola dovrà pilotare il gruppo di Rocca Salimbeni in un mare in burrasca nel quale ad agitare le acque sono l'Eba, che ha chiesto a Siena di rafforzare il capitale con un’iniezione di 3,2 miliardi di euro di mezzi freschi, gli andamenti della Borsa, che penalizzano il titolo del gruppo toscano, e le difficoltà che deve affrontare l’azionista di maggioranza, cioè la Fondazione Mps, alle prese con debiti per oltre un miliardo e con la prospettiva di dover ridurre di molto la sua partecipazione nella banca. Avendo la consapevolezza che Siena si dovrà giocare il futuro nel giro di tre mesi. Al massimo. la fondazione Partiamo appunto dalla Fondazione. Ha contratto due debiti: uno di 520 milioni con un pool di 11 banche capitanate da Jp Morgan per far fronte all’aumento di capitale della banca di 2,15 miliardi andato in porto a metà 2010; un secondo, nel 2008, con Mediobanca (200 milioni) e un terzo, nello stesso anno, con Credit Suisse. La domanda, a questo punto, è fondamentale: come riuscirà l’ente a mettere insieme altri quattrini se il Monte dei Paschi dovrà ottemperare all’ordine dell’Eba di un ulteriore aumento di capitale? La risposta è semplice: sarà costretta a cedere asset per fare cassa, innanzitutto. Per esempio, vendere lo 0,9% residuo di Mediobanca e il 2,56% di Cassa depositi e prestiti (per un valore di 120-130 milioni), le quote nei fondi Clessidra e Sator (90 milioni), il 67% dell’immobiliare Sansedoni (122 milioni) e il 36% di Fontanafredda (32 milioni), altre quote in fondi chiusi. Basteranno? Probabilmente no. E allora potrebbe essere previsto l’ingresso di un socio che rilevi il 10%-15% di Mps ora in mano alla fondazione con il quale l’ente può partecipare all’aumento di capitale diluendo però la propria partecipazione nel capitale della banca: Palazzo Sansedoni, oggi è al 48,4% del capitale di Rocca Salimbeni e ha oltre il 50% dei diritti di voto; domani questo controllo assoluto non ci sarà più. Da qui si spiega perché il comune e la provincia senesi, nel documento programmatico votato nel settembre scorso, ormai parlano di «difesa dell’autonomia della banca». Vendere a chi, però? Si farebbero i nomi di due azionisti importanti e storici del gruppo, cioè Axa (che possiede il 4,01% delle azioni) e Francesco Gaetano Caltagirone (4,43%). Con l’impegno, da parte della fondazione, di riacquistare una parte del capitale in tempi migliori. C’è chi vedrebbe, nella parte di acquirenti, anche il Santander, Intesa Sanpaolo o, ancora, la Cassa depositi e prestiti. Questo è lo scenario peggiore. Il migliore? La banca conta di arrivare a un core tier 1 del 9% entro giugno attraverso un piano di dismissioni no core e di cartolarizzazione per quasi 2 miliardi, e anche attraverso il computo dello strumento convertibile Freshes. In questo modo, il vertice di Monte dei Paschi di Siena ha la certezza di non dover procedere all’aumento di capitale di 3,2 miliardi che ha già provocato dei crolli del titolo in Borsa. Nell’uno o nell’altro caso, Mancini dovrebbe fare le valigie; ma, nonostante le critiche e gli inviti a compiere un passo indietro, il presidente non sembra proprio intenzionato a mollare la presa sull’ente che controlla la banca. Anzi, sembra intenzionato a gestire lui, in prima persona, il cambiamento, compresa la diluizione nell’azionariato del Monte dei Paschi. Chi lo critica avrebbe acceso i riflettori non sui 600 milioni circa chiesti in prestito per partecipare all’aumento di capitale del 2010 di 2,15 miliardi, ma sul debito contratto di una cifra ugualmente impegnativa per effettuare investimenti in Mediobanca, nel fondo F2i e in Sator. Mussari: pure lui, proprio nel segno della «discontinuità», non dovrebbe più ricandidarsi a presidente del Monte dei Paschi per il terzo mandato. Lo ha promesso. Sembra che il suo futuro sia in politica. Però, mai dire mai. Potrebbe chiedergli di restare il consiglio di amministrazione della banca per aiutare l’istituto a uscire dalle secche della crisi. Oppure gli azionisti privati destinati a mettere altre risorse nel Monte dei Paschi per acquisire le azioni della fondazione.

E un personaggio come Mussari, che viene da due mandati alla presidenza dell’ente e ora sta concludendo il secondo mandato da presidente della banca, oltre a essere presidente dell’Abi, potrebbe tornare utile. Se così non sarà, a Rocca Salimbeni si chiuderebbe proprio un’epoca.

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