da Milano
Certo che quando Noel Gallagher, lo scombiccherato fondatore della più bella promessa mai mantenuta del rock inglese, ha iniziato a sussurrare le prime parole di Strawberry fields forever, le ha accarezzate, titillate, abbracciate seduto qui sul palchetto del Blue Note con lenorme Gibson acustica sulle ginocchia, ecco allora si è capito perché gli Oasis avrebbero potuto diventare più famosi di Gesù, o almeno provarci davvero, e invece sono rimasti nellovile del vorrei ma non ce la faccio, rassegnati così a saltellare tra successoni e successini, polemiche e abbozzi, canzoni da centodiecielode come Wonderwall o da bocciatura come Listen up (noiosa pure stasera in versione acustica). Lui qui da solo, imbronciato e tutto vestito di nero, accompagnato da un semi batterista presentato come Terry e dallaltro chitarrista degli Oasis Gem Archer, ha snocciolato unora e un quarto di concerto pacato e clamoroso lasciando che la musica, e che musica, parlasse da sola, si agitasse quando nelliniziale (Its good) to be free gli accordi lo impongono o che si quietasse nella notturna Talk tonight e poi corresse marziale in The importance of being idle, che è il canto di chi non si accorge di aver più di trentanni, è un pelandrone pieno di debiti, è supplicato dalla fidanzata di «farsi una vita» ma decide che «non posso avere una vita senza metterci il cuore dentro» e quindi chissenefrega, tira dritto e resterà così finché Dio vorrà. Insomma, «un grande amico», come lo presenta sul palco Alex Del Piero, anche lui in maglietta nera, appena si sono placati i soliti buuu per lo juventino, ormai sporco a prescindere: «Però qui sento più applausi». Tiè. Atmosfera rilassata, quasi gioiosa.
Daltronde qui non cè il fratello Liam, lubriacone di famiglia, quello che litiga quando ne ha voglia e ne ha ogni giorno, e laltra sera alla Union Chapel di Londra neppure gli inglesi ne hanno lamentato lassenza. Cera solo Noel, appunto, ma loro sono matti per Liam, che è nato hooligan, e quando, come a inizio mese, lui ha telefonato dodici volte in diretta a Virgin Radio straparlando perché era ubriaco marcio, tutta Londra continuava a ripetere quantè divertente quello lì. Lo hanno ripetuto così tante volte, negli ultimi dieci anni, che ormai pure il Daily Mirror o il Sun si sono stancati di strillare le sue mirabilie a metà tra Benny Hill e il panciuto Paul Gascoigne. Senza quello lì, senza il fratello con il quale ha per fortuna di nuovo litigato, Noel Gallagher sgocciola rock da ogni poro, mette in saccoccia dieci pezzi uno dietro laltro lasciando che ciascuno germogli lentamente in sala, avvitandosi agli accordi della chitarra e poi impastandosi con la sua voce al malto, senza implorare attenzione con battute grevi, goderecce, magari anche inutili perché così capita quando si è sul palco in mezzo allo stadio davanti a decine di migliaia di braccia alzate che obbligano ladrenalina a dilagare.
In fondo gli Oasis, gli altri Oasis quelli che fino a ieri sera tutti riconoscevano al primo colpo, sono così, sono lavanspettacolo del rock, obbligati a non aver limiti verbali perché ne hanno molti musicali, e perciò sembrano quasi reazionari e stantii. Invece Noel da solo, no. E pazienza se quando attacca Strawberry fields forever alla fine di un grande concerto lui non ha laccento lieve di Lennon o McCartney ma quello grigio, cavernoso di Manchester, oddìo sempre nebbia.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.