Santa Margherita stecca il «Flauto magico»

Santa Margherita stecca il «Flauto magico»

Il minigolf adiacente è da tempo chiuso. Per manutenzione, recita il cartello. A popolarlo sono solo sacchi neri pieni di terra e sassi e fogliame che, giorno dopo giorno, si accatasta inarrestabile su erbacce libere di crescere a piacimento. Qualche passo più in là, nel piccolo regno del «Flauto magico», il verde è invece curato e i giochi sono stati ripristinati, sebbene i più recenti intarsi siano ancora bianchi. La speranza è che, a breve, un apposito capitolo di bilancio possa restituire a questo povero Parco almeno i suoi colori originari. Perché è difficile digerire, di fronte all'arte che muore, la pillola del patto di stabilità interno. Perché già tutto il resto - ora, ancora - è grigio: il grigio del vuoto e del silenzio, della fatiscenza delle panchine, della precarietà dei servizi igienici, privi di carta e sapone come accade in una qualunque toilette di periferia.
Poco prima di morire, Luzzati si era detto rammaricato per la sorte del suo lavoro. Il sindaco di Santa Margherita, Claudio Marsano, aveva deciso di intervenire: a inizio 2007 si era dato un anno di tempo per portare a termine il piano di riqualificazione dell'opera disegnata negli anni novanta da Lele Luzzati. Sollecitato dall'ex sindaco Angelo Bottino e dalla minoranza, che aveva accusato la giunta di un cinismo estetico offensivo verso la memoria di Luzzati, l'attuale primo cittadino aveva promesso di riportare Sarastro, Tamino, Papageno e gli altri personaggi della fiaba mozartiana a nuova vita. Per giustificare il degrado di un'opera che era divenuta addirittura fonte di pericolo per i più piccoli, aveva puntato il dito contro quell'angolo di città umido, umidissimo. Sono trascorse le settimane e i mesi, ma nessuna nemesi ha ancora riscattato il destino di quest'opera che, nel 2008, sarà tra l'altro intaccata da un nuovo edificio a detta della giunta necessario e a detta della minoranza no: la casupola ad uso del custode. Il consigliere d'opposizione Alessandro De Giovanni, che nelle vesti di assessore ne fu l'alfiere, allarga ancora le braccia: «Gli interventi sono stati minimali, il Parco è perennemente deserto e, chi ancora lo frequenta, lo vive con rassegnazione». Privo di eventi, musica, famiglie festanti e risa di bimbi, il «Flauto» affoga in un immeritato limbo, vittima di scorribande e di chi non si fa scrupoli a sfregiarlo con graffiti murali.

«Gongus», si firma il writer che ha lasciato il proprio segno su una delle mura interne. Una firma incomprensibile. Un vuoto di senso. Che pare essere l'unico rimasto a passeggiare tra i sentieri di un gioiello che non c'è più.

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