Lo scandalo è chi ruba, non Ruby

La storia la conoscete già. Lui candidato sindaco per il centrosinistra a Milano punta molto sulla trasparenza e sul recupero etico della politica. Lei una delle giornaliste di punta di Repubblica sin dai tempi di Tangentopoli. Lei abita in un appartamento di proprietà pubblica e paga un affitto calmierato, cioè nulla, considerato quanto paga un povero cristo per un appartamento oggi a Milano. Dopo aver seguito per anni Tangentopoli ha finito per abitare in un casa di proprietà dell’istituzione dove Tangentopoli cominciò, il Pio Albergo Trivulzio. Roba da far impallidire anche la legge del contrappasso dell’Inferno di Dante. Chissà che ne diranno i sacerdoti del Tempio Palasharp. Chissà che arzigogolo si inventeranno per trovare una giustificazione.
No perché, fino a prova del contrario, questa è una questione morale di cui è obbligatorio occuparsi e non per sapere cosa avviene in quella casa, che non ce ne importa nulla e nulla potrebbe importarcene. Ce ne occupiamo perché è questo fatto a occuparsi di noi e in particolare delle nostre tasche. Contrariamente a chi paga le feste in casa propria con i suoi soldi, qui c’è uno sperpero di denaro pubblico. Perché chi si indigna per le notti di Arcore, a un certo punto deve arrendersi di fronte al fatto che tutto ciò che avviene in quelle occasioni è pagato da un privato cittadino. Così potranno anche drizzarsi i capelli dei puritani, ma non quelli della gente che chiede alla politica di non rubare o di non buttare via i soldi che lo Stato incassa dai sacrifici dei cittadini. Craxi venne preso a monetine in faccia perché accusato di «rubare», non perché s’accompagnava a questa o a quella signorina.
Nel caso degli immobili del Pio Albergo Trivulzio di Milano quei soldi ingiustamente non pagati, infatti, finiranno col gravare sui conti pubblici e, alla fine, sulle tasse che noi tutti paghiamo. Quei soldi non pagati di quell’affitto scandalosamente calmierato sarebbero giustificati se fosse il modo di mettere una persona in grado - non potendolo fare da sola - di poter disporre di un luogo degno dove abitare, magari con la sua famiglia. Si tratterebbe dell’adempimento di uno dei doveri sociali delle Istituzioni pubbliche. Qui non c’è ombra né di un diritto né di un dovere, qui c’è solo uno scandaloso privilegio di stampo medioevale nel senso letterale del termine.
Questo non è moralismo e non è neanche una morale da quattro soldi. Si tratta di elementi di base di un’etica fiscale che impone a chi decide l’utilizzo delle proprietà pubbliche che ciò sia fatto per finalità pubbliche. Se c’è una casa pubblica si dà a chi ha bisogno o per farne qualcosa di utile a tutti. È semplice. Chi ha pagato allo Stato le tasse per comprare o costruire quell’immobile lo ha fatto per questo e ha diritto - lui sì - a sapere se questo diritto è stato rispetto. I diritti in materia fiscale non sono calmierabili.
Chissà se i giacobini della rivoluzione moralista che, in virtù della loro missione, abbiano diritto a qualche privilegio non per legge ma in quanto appartenenti al circolo degli ispirati, delle intelligenze d’avanguardia di questo Paese. Un operaio può abitare ad affitto di mercato in un appartamento situato in un quartiere periferico e sguarnito dell’essenziale per condurre una vita degna. Chi lo difende può abitare in un appartamento con affitto calmierato. Attenzione, non lo ammetterà nessuno anche perché questo tipo di persone non giudica i fatti ma le intenzioni (classico del moralista).


Una volta la sinistra difendeva il diritto dei più deboli contro i privilegi della borghesia. Lo faceva in modo sbagliato e poi finiva per fare il contrario, ma lo diceva. Chissà che ne pensa un candidato del centrosinistra in una città con tante periferie come Milano.

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