Se le canzonette stracciano i festini

Un grande imprenditore del settore chimico, Giorgio Squinzi, pochi giorni fa ha spiegato sul Giornale perché alcune imprese hanno preferito costruire nuovi stabilimenti nel Canton Ticino piuttosto che in Italia. Per un’autorizzazione la verde Svizzera impiega trenta giorni, contro i tre anni italiani. In Puglia per costruire una serra fotovoltaica (sì, certo il costo lo pagheranno gli italiani con le bollette) le nuove stringenti normative regionali si sono inventate tanti di quei vincoli che conviene lasciar perdere. In una piccola bottega commerciale per mettere una telecamera di sicurezza, per il solo rischio di violare la privacy dei clienti, si devono passare i dolori burocratici dell’inferno. Il piano casa, che avrebbe rivitalizzato il comparto edile, è stato boicottato financo dalle regioni a guida berlusconiana. Stiamo affogando nelle lentezze della nostra burocrazia: e la devoluzione di poteri dal centro alla periferia ha perfino peggiorato le cose. Insomma mentre l’Italia della politica litiga, l’Italia che deve campare più seriamente litiga con lo Stato. Ha ragione la nostra Ida Magli quando consiglia al premier di lasciar perdere il ruolo di imputato: si faccia difendere dai suoi avvocati. E ritorni velocemente a governare.
Per questo ha fatto bene, benissimo, il premier a presentarsi ieri in conferenza stampa con Giulio Tremonti per illustrare alcune piccole regole di politica economica introdotte con quello zibaldone legislativo che risponde al nome (più burocratico di così si muore) di decreto Milleproroghe. Il ministro Tremonti ci ha messo la faccia; Berlusconi non l’ha persa parlando di giudici. E entrambi hanno raccontato ciò che solo interessa al paese: la crescita. Proprio oggi il ministro dell’Economia incontrerà i suoi colleghi europei per mettere a punto un piano di rilancio. Nel 2008 il tema è stato quello della resistenza: come mettere in sicurezza i conti. Dopo due anni è innegabile che il processo ha dato i suoi risultati contabili. Oggi però al centro dell’agenda della politica economica del governo non c’è più la resistenza, ma la rivoluzione. E Tremonti ieri ha ben fatto capire che non si tirerà indietro. Certo, mentre dall’altra parte dell’oceano Obama è costretto a tagliare l’inverosimile per rientrare dei deficit da lui stesso generati negli ultimi due anni, è difficile pensare che dalle nostre parti si possa fare crescita aumentando la spesa pubblica.
Ci ostiniamo a chiedere a questo governo un grande gesto di impopolarità nel breve, ma di successo nel lungo periodo. Ha ancora tempo per farlo: tagli la spesa e riduca di conseguenza le imposte. E nel frattempo pompi aria fresca nella nostra economia assistita.

Retroceda dalle assurde rivendicazioni corporative che troppo spesso lo influenzano (tariffe minime, tanto per dire). Si connoti per un governo scandalosamente liberale e pro market. È pur sempre meglio che essere ricordato come un esecutivo pro girls.

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