Il sindaco lascia l’ufficio e diventa talebano

Fino a un anno fa era il sindaco di Herat, da qualche mese è il comandante di una delle bande d’insorti, alleati dei talebani, che minacciano i nostri soldati nella provincia afghana al confine con l’Iran. Ghullam Yahya Akbari pochi giorni fa è comparso sugli schermi di Al Jazeera per annunciare la sua nuova vocazione e giurare guerra senza tregua e senza remissione ai nostri soldati, agli alleati della Nato e ai militari del nuovo esercito afghano.
«Combatteremo sino all’ultimo gli invasori e gli infedeli e non ci fermeremo neppure se verrà a chiedercelo il mullah Omar, anzi se proverà a negoziare con il governo di Hamid Karzai o con gli invasori stranieri prenderemo le armi anche contro di lui», dichiara Akbari nell’intervista alla televisione satellitare. «L’unica condizione per avviare una trattativa con il nemico è il completo ritiro di tutti gli stranieri dal nostro Paese, soltanto a quel punto - chiarisce Akbari - sarà possibile un dialogo e un eventuale negoziato con il governo».
I motivi che hanno spinto Akbari ad abbandonare le file dell’amministrazione Karzai per schierarsi al fianco dei talebani non sono chiari. Secondo voci raccolte nell’amministrazione di Herat, Akbari era stato prima destituito dalla sua carica di sindaco e poi assegnato alla guida del dipartimento dei lavori pubblici. Mentre ricopriva questo ruolo sarebbe stato definitivamente messo alla porta in seguito a una denuncia per corruzione. Molti passaggi dell’intervista lasciano però capire che l’allineamento con i talebani sia soltanto formale. Akbari si dichiara un loro alleato, ma combatte da indipendente, senza ricevere ordini dal mullah Omar. La sua defezione è comunque preoccupante perché allarga le file degli insorti in una regione dove i talebani non potevano contare su un bacino di sostenitori ampio. Il nuovo capo guerrigliero non sembra per il momento in grado di muoversi con troppa libertà nelle zone che amministrava. Per raggiungerlo il giornalista di Al Jazeera viaggia per almeno due ore lungo una strada di montagna e poi cammina per altri cinquanta minuti su scoscesi sentieri.
L’appuntamento con l’ex sindaco è in alcune grotte usate negli anni Ottanta dai mujaheddin che combattevano contro i soldati sovietici e i loro alleati afghani.

Akbari si presenta alla testa di una sessantina di combattenti armati con il solito inventario di armi russe e spiega di avere almeno altre venti di quelle basi. «Noi stiamo in montagna perché vogliamo evitare di provocare perdite tra la popolazione civile, ma non abbiamo paura di affrontare il nemico, se poi verranno a cercarci non usciranno vivi da queste vallate», promette.

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