"Sono il coltellino svizzero della narrativa: faccio tutto"

Intervista a Jasper Fforde, scrittore inglese che ha inventato un mondo parallelo mischiando i generi letterari. Rifiutato da 76 editori ora è un cult: "Mi piace pensare che ho attinto al grande banchetto delle storie e ho sgraffignato tutti gli avanzi"

"Sono il coltellino svizzero 
della narrativa: faccio tutto"

Gian Paolo Serino

«I miei libri sono il coltellino svizzero della narrativa, c’è qualcosa per tutti i gusti. Mi piace pensare che ho attinto a piene mani al grande banchetto delle storie e che ho sgraffignato gli avanzi».
Così definisce i suoi libri Jasper Fforde, autore di besteller di indiscutibile spessore narrativo che hanno conquistato migliaia di lettori in tutto il mondo. Lo scrittore inglese che due anni fa stupì il mondo letterario con la pubblicazione de Il caso Jane Eyre, rifiutato da 76 editori prima di entrare nella classifica dei più venduti di quell’anno del New York Times, è in Italia per presentare in anteprima il suo nuovo C’è del marcio (in libreria dal 2 ottobre per Marcos y Marcos).

Solitamente restio a incontrare i giornalisti, tanto da concedere rarissime interviste, ci ha confidato i segreti del suo successo portandoci dietro il palcoscenico dei suoi romanzi. Libri che giocano con la letteratura di sempre in una commistione tra giallo, fantascienza e mistery: un cross over di generi capace di portare il lettore in un universo fantastico dove la lettura è al centro del mondo.

Nei suoi libri, dal già citato Il caso Jane Eyre (Marcos y Marcos, pagg. 378, euro 16) a Il pozzo delle trame perdute (Marcos y Marcos, pagg. 400. euro 17)al nuovo C’è del marcio, si fanno gli incontri più strani: come la protagonista di tutti i suoi romanzi, Thursday Next, che di professione fa la detective letteraria. Sempre in viaggio tra universi paralleli - dirigibili di linea, scontri di piazza tra surrealisti e impressionisti, rapimenti di Shakespeare e una polizia che si occupa quasi soltanto di reati letterari- Thursday Next si muove in un futuro presente dove tutto sembra voler rimuovere la memoria non solo letteraria dei suoi abitanti.

Jasper Fforde, come spiega l’enorme successo dei suoi libri?
«Non saprei. Forse a tanta gente piace qualcosa di nuovo e diverso da leggere e la mia contaminazione di generi letterari ha molti elementi di interesse che attraggono il lettore. Se ami la commedia o la satira, ci sono; se sei un appassionato di science fiction o del genere fantasy o delle trame romantiche c’è un po’ anche di quelli, così come il giallo o il thriller. Ma anche gli appassionati dei classici saranno soddisfatti. I miei libri sono il coltellino svizzero della narrativa, c’è qualcosa per tutti i gusti. Mi piace pensare che ho attinto a piene mani al grande banchetto delle storie e che ho sgraffignato gli avanzi».

Oltre alla commistione dei generi un altro segreto del suo successo è l’umorismo che si nasconde quasi in ogni pagina...
«Mi diverte usare la satira per molte ragioni. Prima di tutto, offre l’opportunità di fare battute leggere e osservazioni pungenti. In secondo luogo, è un modo per commentare il mondo assurdo e banale in cui viviamo. Terzo, rende familiare un mondo di fantasia: i problemi che affrontano i miei personaggi sono simili a quelli in cui ci imbattiamo nel nostro viaggio dalla culla alla tomba: politici bugiardi, multinazionali rapaci, la cultura popolare imperante, tutto può essere un bersaglio».

Non le sembra che il nostro mondo tenda a rimuovere i classici che, invece, nei suoi libri tornano ad essere eroi del presente?
«I reality show, i quiz, gli show dietro le quinte, i programmi di cucina estorcono il dramma fuori dai palinsesti televisivi. La tragedia e il dramma, sin dai Greci, è sempre stato un elemento distintivo dei grandi classici. Ora si assiste ad uno spostamento: dalla scrittura alla rappresentazione. Ma credo che la gente cominci ad essere sfiancata dalla spazzatura in TV e nel mondo in generale e si rifugi in una riserva di dramma di buona qualità, come solo i libri possono essere».

Non è troppo ottimista? Ci sono pochi classici tra i libri più venduti...
«I classici sono a volte buoni e meravigliosi, altre volte robaccia - esattamente come la letteratura contemporanea. Quello su cui preferisco riflettere è come i classici siano stati tolti alla normale dimensione della lettura, trasformati in testi di studio, sezionati parola per parola e analizzati: viene fatto loro qualcosa che non va mai fatto, con nessun libro. Come per la gallina dalle uova d’oro, se la smonti per vedere come funziona, si perde qualcosa e smette di funzionare. Sono anche contro i libri messi su un piedistallo e preservati in un “territorio sacro”. Shakespeare resterebbe sconvolto se sapesse che, nella maggior parte dei casi, le sue opere teatrali sono rappresentate per un pubblico troppo raffinato. Questo è il motivo per cui faccio quello che faccio - forzare e forare l’alone di pomposità che aleggia attorno i classici come una nuvola scura carica di pioggia, lampi e tuoni - è come ridere seduti agli ultimi banchi della classe di letteratura e porsi le domande giuste, ad esempio come quello sciocco di Romeo possa essere così innamorato di Rosaline, e poi due pagine dopo aver perso letteralmente la testa per Giulietta».

Qual è, invece, il suo rapporto con la letteratura contemporanea?
«Cerco di non confrontarmi con la narrativa contemporanea, e credo che nessuno scrittore dovrebbe farlo. Ci si deve assolutamente confrontare con quanto accade nel mondo, che può fornire spunti satirici e un tocco contemporaneo. È fondamentale non pontificare su alti ideali, perché è terribilmente presuntuoso ed egocentrico. Però è importante introdurre nei propri libri temi che offrano quanto meno spunti costruttivi rispetto ad aree che l’autore percepisce carenti nel mondo contemporaneo - l’accettazione della diversità, per esempio, o l’inserimento sociale. Gli scrittori non dovrebbero declamare le loro opinioni, ma indirizzare visioni positive nella giusta direzione».

Pochi giorni fa l’Indipendent ha raccontato del proliferare a Londra di “bookshop” dove la letteratura viene usata come terapia. Secondo lei i libri possono aiutarci davvero a guarire? Possono cambiarci davvero la vita?
«Assolutamente sì e l’avvento della “Book Therapy” va applaudito. In un mondo in cui le persone sembrano allontanarsi sempre più le une dalle altre, i libri e le emozioni che suscitano possono essere un’ottima occasione per farle tornare sui loro passi.

Sono profondi e ricompensano una lettura concentrata con grande profitto. I libri offrono buone occasioni di discussione - un altro modo eccellente per promuovere conversazioni e per strappare le persone dalla spazzatura che molto spesso si vede in tv».

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