Il compleanno, quello vero, è stato il primo ottobre, visto che le trasmissioni del terzo canale radiofonico iniziarono il primo ottobre 1950, alle 21. Una scelta rivoluzionaria, per lepoca: unintera rete per la cultura, dal teatro alla musica. E ancor più rivoluzionaria se si considera come era quellItalia, dove anche le reti più «generaliste» (anche se nel 1950 questa oscena parola probabilmente non esisteva) facevano cultura e continuarono a farla anche negli anni successivi: se si pensa al cult Non è mai troppo tardi del maestro Manzi, alle commedie di Govi e al livello dei caroselli, anche radiofonici, viene il magone. Ma, soprattutto, si riflette sullinutilità di un canale culturale. E il resto che cosera?
Insomma, il primo ottobre 1950 era unaltra Italia. UnItalia color seppia e, forse, unItalia più bella, che si amava di più. Soprattutto, unItalia più orgogliosa di sè e con più voglia di crescere. UnItalia che, negli anni, abbiamo iniziato a perdere e che ora è quasi solo un ricordo.
Insomma, lItalia è cambiata. E non è un complimento. Ma, spesso, Radiotre non è cambiata. E anche questo non è un complimento. Non un complimento nel senso più pieno che la parola sa avere, intendo.
Perchè se è vero che la rete diretta da Marino Sinibaldi ha avuto la capacità di preservare il suo carattere culturale e di trasmettere programmi che gli altri non avevano la forza, il coraggio, la temerarietà o la lucida follia di trasmettere, è anche vero che la stessa Radiotre ha anche trasmesso programmi che gli altri non volevano trasmettere, proprio perchè brutti o noiosi e che, invece, nella riserva indiana del terzo canale sono andati avanti quasi per forza dinerzia. Ovviamente, tutto questo senza sminuire iniziative come quelle dei sessantanni: dal ritorno della splendida categoria dei radiodrammi, in onda nei prossimi giorni, alla bella mostra fotografica allAuditorium di Roma «La voce delle immagini», praticamente uninstallazione sonora.
Insomma, occorre stare anche attenti alla mistica della «cultura» che, spesso, è la peggior nemica della cultura senza virgolette, perchè allontana pubblico che magari vorrebbe davvero crescere, ma che si trova respinto da una programmazione da salottino che accontenta più chi sta sul palco rispetto a chi sta in platea e, se viene deluso o tradito dagli intellettualismi, non torna più.
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